Lampedusa torna a piangere. Nelle acque a circa 14 miglia a sud-sud-ovest dell’isola un barchino con quasi cento persone a bordo (97 secondo le prime ricostruzioni) ha fatto naufragio: la Guardia costiera ha recuperato numerosi sopravvissuti e almeno 20 corpi. I dispersi stimati sono 27, ma il bilancio è ancora provvisorio mentre proseguono le ricerche.

Cosa sappiamo finora

Secondo le prime informazioni raccolte dalle autorità e rilanciate dai media, l’allarme è scattato nella tarda mattinata di mercoledì 13 agosto. Le motovedette della Guardia costiera e altri assetti hanno raggiunto l’area del naufragio: diversi naufraghi sono stati trovati in acqua, alcuni già senza vita. I cadaveri recuperati sono stati trasportati a Lampedusa, mentre i sopravvissuti sono stati sbarcati per le prime cure e l’identificazione. Il numero delle persone a bordo – indicato in 97 – e quello dei 27 dispersi emergono dai primi riscontri; il conteggio delle vittime ha superato quota 20nelle ore successive. Le ricerche proseguono in un tratto di mare spesso soggetto a vento e corrente, fattori che complicano le operazioni.

La dinamica è quella – fin troppo nota – dei barchini sovraccarichi che imbarcano acqua e cedono all’onda. A Lampedusa l’impatto umanitario è immediato: i superstiti vengono accompagnati all’hotspot di contrada Imbriacola, struttura la cui capienza “a regime” – per come è stata progettata e potenziata – è di circa 403 posti. È un numero che rende l’idea dello sforzo richiesto ogni volta che gli sbarchi si concentrano in poche ore. 

Un’isola simbolo e una ferita aperta

Lampedusa conosce bene il peso di queste giornate. La memoria corre al 3 ottobre 2013, quando il rogo a bordo di un peschereccio provocò 368 vittime al largo dell’isola. Da allora quell’anniversario è diventato un richiamo a non assuefarsi all’“indifferenza”, come ripetuto più volte dalla Chiesa e dal magistero di Francesco, che proprio a Lampedusa compì il suo primo viaggio pastorale fuori Roma. 

Oggi, davanti all’ennesimo elenco di corpi senza nome e nomi senza corpo, la domanda che ci interpella è la stessa: che cosa avremmo potuto fare, cosa possiamo fare adesso per evitare altri lutti? È una domanda evangelica prima ancora che politica.

Il contesto 2025: flussi, numeri, rischi

I dati più recenti aiutano a leggere l’episodio dentro una tendenza. Secondo gli ultimi snapshot di UNHCR (11 agosto), gli sbarchi verso l’Italia nel 2025 procedono con volumi paragonabili – e per alcuni mesi superiori – al 2024; a giugno UNHCR conta 22.971 arrivi nei primi cinque mesi dell’anno (contro 21.113 nello stesso periodo 2024). Sono cifre che oscillano, ma raccontano una pressione costante sulla rotta del Mediterraneo centrale. 

Dentro questi flussi spicca la vulnerabilità dei minori: UNICEF stima in circa 3.500 i bambini morti o dispersi nel Mediterraneo dal 2014, una ferita che attraversa le stagioni e le statistiche. Le responsabilità del soccorso

Il Mediterraneo centrale resta uno dei tratti di mare più mortali del pianeta. La ricerca e soccorso è un dovere giuridico (Convenzioni SOLAS e SAR) e morale: quando l’allarme arriva – da assetti istituzionali, aerei di sorveglianza, navi mercantili o ONG – la catena di intervento deve essere rapida, coordinata, predittiva rispetto a vento e stato del mare. Nel caso di Lampedusa, dalle prime testimonianze emerge l’immediatezza della risposta della Guardia costiera e la difficoltà di operare con molte persone già in acqua. I dettagli operativi – orari esatti, primo avvistamento, eventuali segnalazioni precedenti – sono in aggiornamento e andranno verificati nei prossimi report ufficiali.



Accoglienza sull’isola: tra emergenza e normalità

La macchina dell’accoglienza si riattiva ogni volta come può: triage sanitario, distribuzione di beni di prima necessità, colloqui di identificazione e protezione (con attenzione a minori e vulnerabili), trasferimenti rapidi verso la Sicilia e la penisola per decongestionare l’hotspot. Lampedusa vive in equilibrio tra la vocazione turistica e l’essere porta d’Europa: una dicotomia che la comunità locale affronta con dignità da anni, spesso in solitudine. 

L’Europa che c’è e quella che manca

Sul piano delle politiche, l’UE ha chiuso nel 2024–2025 il negoziato sul Nuovo Patto migrazione e asilo, con norme pensate per accelerare le procedure di frontiera, rafforzare gli screening e prevedere forme di solidarietà (relocation o contributi). Il punto sarà l’attuazione: senza vie legali alternative e un pilastro SAR condiviso, i “colli di bottiglia” resteranno gli stessi.

A ricordarci che alternative sicure esistono, ci sono i corridoi umanitari: un modello nato dalla collaborazione tra Comunità di Sant’Egidio, chiese evangeliche/valdesi e Caritas, in accordo con i ministeri competenti. Al 2024avevano già garantito l’arrivo in sicurezza di oltre 7.700 persone; nel 2025 continuano le operazioni, con nuovi gruppi accolti a luglio. Sono numeri piccoli rispetto ai flussi, ma dimostrano che si può salvare senza consegnare le famiglie ai trafficanti.