Oggi la Rai compie 60 anni: il 3 gennaio 1954 cominciarono le trasmissioni televisive “ufficiali” della Radiotelevisione Italiana. In quel tempo nel nostro Paese esistevano ancora pochi televisori, concentrati in larga parte a Milano e Torino, e il prezzo di un apparecchio era esorbitante: dalle 160mila lire al milione e 300mila lire, in un Italia in cui il reddito medio pro-capite era di circa 258mila lire. Dopo soli 5 anni da quel “battesimo” la tv italiana poteva contare su oltre 20 milioni di spettatori, tra abitazioni private (circa un milione di apparecchi) e locali pubblici.
La Rai degli esordi era una tv davvero “pubblica”, che faceva della cultura, dell’educazione e dell’informazione i punti cardine della sua offerta. Ai ragazzi era rivolto un progetto pedagogico di largo respiro, che si articolava quotidianamente e settimanalmente in programmi su misura per loro, mentre agli adulti venivano proposte trasmissioni che servivano (anche) a imparare la lingua italiana, la storia, la geografia e la cultura nazionale.
In questi sessant’anni la nostra televisione di Stato, partita come grande Maestra, è diventata progressivamente una grande mamma, poi una grande sorella e oggi una grande amica che comincia a sentirsi nonna. Il rapporto con lo spettatore è cambiato e non sono 6 decenni ma anni luce a segnare l'enorme distanza fra la televisione di allora e quella di oggi, che ha rinunciato a contenuti alti o eccessivamente impegnativi nel segno dell’intrattenimento perenne e della sempre più serrata (rin)corsa all’audience. Nell’anniversario del 60°, più che le tradizionali felicitazioni per il traguardo raggiunto possiamo esprimere la nostalgia per un’offerta che – pur con tutti i suoli limiti – era di qualità. Cosa ci aspettiamo dalla "nostra" tv pubblica per i prossimi 60 anni?