Un dato che salta all’occhio, capace di generare titoli e facili allarmismi: l’uso di psicofarmaci tra i minori italiani è più che raddoppiato negli ultimi quattro anni. Il recente rapporto OsMed 2024 segnala che la prevalenza d’uso nella fascia 0-17 è passata dallo 0,26% allo 0,57% di quest’anno.

Ma cosa si nasconde davvero dietro questa percentuale? A gettare acqua sul fuoco e invitare a una «lettura attenta» è Stefano Vicari, tra i massimi esperti di neuropsichiatria infantile in Italia. Insieme a Gabriele Masi, coordinatore dei primari reparti di emergenza psichiatrica, Vicari sottolinea come il dibattito non debba fermarsi al semplice aumento numerico. La vera domanda, secondo gli specialisti, è un’altra: «Questo maggiore ricorso ai farmaci risponde davvero ai bisogni clinici dei bambini e degli adolescenti?»

L'aumento c'è, è innegabile, ma per Vicari va messo in prospettiva. «Parlare solo della 'prevalenza d’uso' non basta», spiega. «Bisogna chiedersi quante persone avrebbero effettivamente bisogno di un trattamento e non lo ricevono». Qui emerge il dato forse più drammatico: «In Italia, le stime indicano che solo 1 ragazzo su 15-20 tra quelli che potrebbero trarre beneficio da una terapia farmacologica la riceve davvero. È la percentuale più bassa tra i Paesi europei a noi più simili». La preoccupazione, quindi, si sposta «È giusto preoccuparsi per chi assume un farmaco», continua Vicari «ma dovremmo preoccuparci altrettanto — forse di più — per chi non riceve alcun trattamento, pur avendone necessità».

Il secondo punto chiave per smontare l’allarmismo è contestualizzare i numeri. Dire che l’uso è più che raddoppiato spaventa, ma la realtà dei dati assoluti è diversa. «Si tratta di un aumento, certo», ammette Vicari, «ma i livelli restano molto più bassi rispetto ad altri Paesi europei». Il confronto è netto: rispetto all’Italia, i dati della Francia sono tre volte superiore (1,61% rispetto a 0,57%); in Spagna e nei Paesi nordici i livelli sono ancora più alti. «Pensare che solo l’Italia abbia trovato il 'giusto equilibrio' e che tutti gli altri sbaglino sarebbe un errore», chiosa l’esperto. Un'altra precisazione fondamentale riguarda l'età. Parlare genericamente di "psicofarmaci ai bambini" è fuorviante. L'aumento dei consumi riguarda l'intera fascia sotto i 18 anni, ma il picco si registra tra i 12 e i 17 anni. È questa l'età, «in cui emergono le forme più complesse e severe di disagio psichico, che spesso richiedono, accanto alla psicoterapia e al sostegno familiare e sociale, anche un intervento farmacologico mirato».

Inoltre, il termine "psicofarmaci" è un calderone che tiene insieme medicinali molto diversi: dagli stimolanti per l’ADHD ai serotoninergici per depressione e disturbo ossessivo-compulsivo, fino agli antipsicotici (bloccanti dei recettori D2), usati per psicosi o disturbi del comportamento nell'autismo, che richiedono un monitoraggio molto più attento.

Se da un lato non bisogna cedere all'allarme, dall'altro Vicari insiste sulla massima prudenza. La prescrizione in età evolutiva deve seguire principi fondamentali:

Valutazione globale: Il farmaco si inserisce in un quadro che comprende aspetti psicologici, familiari e sociali, non solo medici.

Obiettivi chiari: Bisogna definire sintomi precisi da monitorare per valutare l'efficacia reale.

Monitoraggio costante: Entro tre mesi va fatta una valutazione del rapporto rischi/benefici.

Revisione periodica: Anche se funziona, la terapia va rivista nel tempo, valutando riduzioni o sospensioni.

Per rimettere i dati nella giusta prospettiva, basta guardare la classifica generale dei farmaci più usati dai 4,6 milioni di minori che hanno ricevuto almeno una ricetta nel 2024 (il 50,9% del totale). I farmaci per il sistema nervoso centrale (categoria che include anche gli psicofarmaci) sono solo al quarto posto (8% del totale). In testa rimangono saldamente gli antinfettivi (antibiotici), seguiti dai farmaci per l'apparato respiratorio e dai preparati ormonali. In conclusione, i nuovi dati non sono un segnale d'allarme, ma, come sottolinea Vicari, «uno stimolo alla riflessione e alla responsabilità condivisa». La vera sfida non è demonizzare i farmaci, ma garantire che chi ne ha bisogno possa accedere a cure appropriate, integrate e tempestive.