PHOTO
Mentre Macron, durante Conferenza di alto livello sulla soluzione a due stati, convocata da Francia e Arabia Saudita, riconosceva ufficialmente lo stato di Palestina, a Milano le proteste hanno preso una deriva violenta, culminata con lo scontro diretto con la polizia.
Oggetti, bastoni, bombe di fumo sono state scaraventate contro le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che hanno risposto con una pioggia di lacrimogeni che hanno riempito la stazione Centrale e l’antistante via Pisani per almeno quattro ore.
Dure le parole della presidente Meloni, che ha criticato gli atti vandalici: «Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza, ma avranno conseguenze concrete per i cittadini italiani, che finiranno per subire e pagare i danni provocati da questi teppisti».
Lo scontro si è quindi spostato sui social: chi si è apprestato a denunciare la violenza gratuita e gli atti vandalici, lontani dalla volontà pacifista dell’organizzazione, e chi, invece, quella violenza la vede come danno collaterale di una manifestazione necessaria, di una rabbia che non può più essere repressa.
Ciò che però è sfuggito e che è passato in sordina rispetto agli scontri violenti, è la conclusione del corteo a Milano: sfumata la cortina dei fumogeni, la maggioranza dei manifestanti che erano rimasta nelle retrovie si è riavvicinata al cordone compatto di polizia e camionette e si è seduta ai piedi degli scudi trasparenti dei celerini.
Alcuni si tenevano per mano, altri si abbracciavano, altri ancora ricominciavano i canti in solidarietà al popolo palestinese. Le kefiah, fino ad allora usate per ripararsi dai lacrimogeni, veniva abbassate sul viso e incrociate intorno al collo. I cestini sventrati nelle ore precedenti sono stati trasformati in tamburi, i sassi lanciati in bacchette per tenere il ritmo su pali della luce e segnaletica stradale.
Due ragazze, una vestita con la bandiera della pace e l’altra con quella palestinese, si sono avvicinate allo sbarramento delle forze dell’ordine per regalare una barchetta di carta con i colori della Palestina. Un ulteriore nota di merito al corteo, dimenticata nel racconto dei fatti: intorno alle 18, alcuni si sono muniti anche di cestini e grandi sacchetti per ripulire le strade dai rimasugli dei cestini svuotati. Oltretutto, ad oggi, le vetrine danneggiate e le porte rotte sono state pienamente ripristinate. Non c’è rimasta traccia delle azioni violente del pomeriggio precedente.
E allora attenzionare in maniera quasi morbosa soltanto quel pugno di ragazzi contro le 50000 persone scese ieri tra le strade di Milano, sfidando il maltempo e rinunciando a una giornata lavorativa, è segno di un’Italia che continua a mancare il senso e la necessità di una manifestazione di questo calibro.
Il messaggio della maggioranza pacifista era diretto al governo, chiamato a prendere una posizione netta contro il genocidio palestinese. Danni collaterali o svolte violente che li si voglia definire a parte, la giornata di ieri ha segnato un momento storico per l’Italia.
Il video della piazza migliore



