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La leggenda vuole che Tania Cagnotto, una pioggia di medaglie dal trampolino, da sola e in coppia con Francesca Dallapè, a due anni si sia tuffata, non si sa se per sbaglio o per attrazione fatale, nella vasca dei pesci rossi dell’Acquacetosa a Roma dove si allenavano i suoi genitori, Giorgio Cagnotto e Carmen Casteiner, entrambi tuffatori: “Io non me lo ricordo, ero troppo piccola, me lo raccontano loro”. L’aneddoto è il punto di partenza per parlare di come si costruisce un buon rapporto con l’acqua prevendo i rischi. Oggi, Maya, la figlia di Tania, ha poco meno della sua età di allora: 18 mesi. “Quando ne aveva quattro, avendo un’amica che fa corsi per piccolissimi, l’ho portata una volta in piscina a provare”. Per i neonati l’acqua è elemento naturale: mantengono nelle prime settimane di vita il riflesso dell’apnea, se vanno sotto smettono d’istinto di respirare. “Maya sembrava divertirsi, ma poi non abbiamo fatto il corso. Con l’arrivare dell’estate mi sono chiesta come avrebbe reagito all’acqua a distanza di un anno. A giudicare dai risolini che fa, gradisce ancora moltissimo. Entra sempre con me: io sono sicura in acqua e lei si sente sicura con me, ma non la perdo di vista un solo istante. In estate andremo al mare, anche in barca, e lì avrà sempre indosso il costumino con i galleggianti, perché non si sa mai che possa cadere in acqua o sgusciare dalla presa. Da mamma vedo molti bimbi in piscina ma anche tante mamme terrorizzate trasmettere il timore dell’acqua ai figli”.
La sincronia tra Tania e Francesca Dallapè è ancora perfetta nei pensieri. Insieme stanno provando a ritrovarla anche sul trampolino dopo la maternità dei entrambe: “Dal momento che i Gruppi sportivi dell’Esercito e della Guardia di Finanza ci consentono di fare della nostra passione il nostro lavoro, stiamo provando a ricominciare cercando di conciliare gli impegni con il benessere delle bambine”. Ludovica, la figlia di Francesca ha due anni: “Desidervo che familiarizzasse presto con l’acqua.. Quando ho cominciato con i tuffi, a sei anni, nuotavo ancora a cagnolino, ma ho imparato presto, del resto avevo un buon rapporto con l’acqua già da prima. Ma non sono mai stata temeraria, neanche adesso vado a nuotare al largo o mi butto nei laghi. Ho iscritto Ludovica al corso di acquaticità fin dai quattro mesi. Le piace molto, fosse per le starebbe senza braccioli, ma ovviamente glielo impedisco: anche venti centimetri d’acqua possono essere pericolosi per i piccoli. In piscina ho sempre gli occhi su di lei. Cadere in acqua non è l’unico rischio, ci vuole un attimo anche a scivolare sul bordo e battere la testa. È importante però che gli adulti, genitori e nonni, anche se non sanno nuotare, trasmettano serenità ai bambini, perché la paura dell’acqua da adulti è dura da superare”. Lo sa anche Giorgio Cagnotto, che dopo le medaglie sue ha cresciuto generazioni di tuffatori: “Eppure non sono mai riuscito a insegnare a nuotare a mia mamma. Andava al mare volentieri, si immergeva fino al mezzo busto, ma se per un istante temeva di non toccare andava nel panico e finiva giù a gatto morto. L’esperienza mi dice che imparare a nuotare da adulti non è una sfida impossibile, ma serve determinazione e impegno: se ti iscrivi al corso e vai ogni giorno in piscina puoi recuperare molto, ma non è come acquisire confidenza da piccoli. La mia generazione, se imparava a nuotare a Torino spesso lo faceva nel fiume a spese di qualche seri rischi o non imparava affatto; chi come me si iscriveva a una società sportiva era un’eccezione”. Giorgio Cagnotto però mette in guardia anche dall’eccesso di confidenza mal riposta: “Non è raro vedere adolescenti trascinati dal gruppo cercarsi guai improvvisandosi in tuffi senza essere preparati. Ne ho visto più d’uno prendere testate sul bordo della piscina; io stesso, che pure conoscevo la materia, - due argenti dal trampolino tra il 1972 e il 1980 - , al mare ho avuto qualche piccolo incidente con gli scogli, perché anche da esperti non è sempre facile valutare la distanza, figuriamoci se fai il bullo e provi a fare il salto mortale senza sapere quello che fai. Si possono rischiare paralisi urtando malamente le vertebre e anche la vita se finisci tramortito in acqua e non c’è nessuno pronto a ripescarti. Tutti sanno che si affoga anche per congestione, ma a questi altri rischi si pensa meno. Devo dire che non capitava mai che fossero i ragazzi allenati da noi a fare certe bravate. Sarà perché chi fa tuffi per sport sa che vanno presi con rispetto e che la superficie dell’acqua, a cascarci sopra dall’alto in malo modo, è tutt’altro che morbida”.



