Cari amici lettori, il prossimo 24 febbraio ricorre il primo anniversario dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa. Un evento che all’inizio ci ha tenuti col fiato sospeso, dopo lo choc iniziale per una guerra inattesa alle porte d’Europa, e ci ha fatto seguire con profonda partecipazione le vicende di un popolo aggredito brutalmente (papa Francesco, non a torto, ne ha parlato più volte come di un popolo “martire”). Mentre assistiamo a frequenti testimonianze, su giornali e tv, della parte aggredita, molto poco sappiamo dell’altra parte, quella russa. Non mi riferisco naturalmente ai sostenitori della guerra, gli unici ad avere diritto “ufficiale” di parola sotto il regime di Putin, ma dei russi che esprimono il proprio dissenso e le proprie critiche al governo del Cremlino, ben coscienti di andare incontro a pesanti ritorsioni da parte di uno Stato autoritario che ormai punisce chiunque alzi la voce fuori dal coro.

È ciò che è successo, ad esempio, qualche giorno fa alla ventenne Olesya Krivtstova, della città di Arkhangelsk, arrestata dopo essere stata denunciata dai compagni di università per aver condiviso sui social una foto del ponte di Kerch (in Crimea), distrutto dagli ucraini. Olesya è accusata di «aver giustificato il terrorismo e aver discreditato le forze armate» del suo Paese. «È assurdo, ma non mi pento», ha dichiarato la ragazza, che ha scelto di non ritrattare: «Lo Stato non è in grado di affrontare un dibattito, non tollera la democrazia né la libertà. Ma non possono mettere tutti in prigione: presto o tardi, non avranno più celle da riempire», ha detto al Corriere della sera il 15 febbraio. C’è dunque anche un’«altra Russia», che non ha quasi visibilità – ed è anche difficile da quantificare – che non condivide la retorica bellica di Putin, che non vuole la guerra e desidera la fine di un’aggressione ingiusta. In questo quadro è tanto più preziosa e coraggiosa la Dichiarazione di Natale di un gruppo di cristiani russi, di cui ho già avuto occasione di parlare, che si esprimono apertamente contro la guerra, in nome del Vangelo e della loro coscienza cristiana.

Tramite i nostri contatti, Credere è riuscito a raggiungere tre di questi firmatari e a farsi spiegare le ragioni morali e religiose che sostengono le loro convinzioni e la loro presa di posizione (servizio a pag. 16). La medesima coscienza cristiana ha motivato anche il beato Franz Jägerstätter, di cui parliamo nel primo di una serie di Zoom dedicati ai “martiri del Novecento” (pag. 29). Il contadino austriaco, chiamato alle armi nell’esercito nazista nel 1943, rifiutò l’arruolamento dichiarando: «Io non potrò mai sostenere una bugia per legittimare una guerra ingiusta e un regime che calpesta i valori umani». Sono esempi altissimi di fede. Forse troppo alti, si dirà. Il teologo martire Dietrich Bonhoeffer parlava di «grazia a caro prezzo».

Per nostra fortuna, non sempre le circostanze sono così estreme. Ma queste loro vite ci interrogano sulla consistenza della nostra fede e sulla nostra capacità di confrontarci con la storia, compiendo – se necessario – scelte “testimoniali” che rispecchino ciò in cui crediamo. Perché spesso le parole del Vangelo chiedono di andare controcorrente e di non adeguarsi al “così fan tutti”.