Scenario identico: lo Studio ovale alla Casa Bianca, i giornalisti, i riflettori del mondo, il presidente Usa e quello ucraino seduti uno accanto all’altro. Ma stavolta l’atmosfera è stata molto differente da quella che dominò il disastroso incontro del 28 febbraio scorso, quando Volodymyr Zelensky, capo di Stato di un Paese aggredito e in guerra da oltre tre anni, venne platealmente umiliato dalla coppia Trump-Vance. Stavolta, cordialità e sorrisi fra i due presidenti, qualche battuta, nessun atteggiamento di bullismo da parte del presidente Usa nei confronti dell’omologo ucraino che, memore del fiasco precedente, si è ben guardato dall’irritare Trump e ha mostrato gratitudine e deferenza nei riguardi dell’inquilino della Casa bianca.

Lo shock mondiale (e in primis ucraino) del 28 febbraio, insomma, è stato evitato. E questa è una buona notizia. Ma quanto resta di davvero buono – in termini pratici – del vertice convocato a Washington da Donald Trump con il presidente ucraino e i leader di Europa (la Coalizione del volenterosi), Unione europea e Nato? A tre giorni dallo storico incontro di Ferragosto fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska – che si è concluso con un allineamento fra i leader delle due superpotenze mondiali e una vittoria morale per il leader del Cremlino – a Washington si sono seduti al tavolo, insieme a Trump e Zelensky,  il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Stamer, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente finlandese Alexander Stubb, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il segretario generale della Nato Mark Rutte. L’Europa si è presentata alla Casa bianca ricompattata per portare le sue richieste al presidente americano che da alleato degli europei è passato ad assumere il ruolo di negoziatore (quasi al termine dell’incontro si è assentato dal tavolo dei lavori per una lunga telefonata con Putin).

Ad Anchorage il presidente russo ha messo sul tavolo le sue richieste: non il cessate il fuoco ma un accordo globale per porre fine alla guerra; il controllo russo su tutto il Donbas (Luhansk e Donetsk) con il ritiro degli ucraini dalla parte del Donetsk non occupata da Mosca; il congelamento della linea del fronte allo stato attuale nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, parzialmente occupate; il riconoscimento della lingua russa come lingua ufficiale in Ucraina; garanzie per la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca (che il Parlamento di Kyiv ha dichiarato fuorilegge e messo al bando ad agosto del 2024); la rinuncia dell’Ucraina a entrare nella Nato.

Gli europei insistono sul cessate il fuoco da parte di Mosca e sulla necessità di fissare solide garanzie di sicurezza per Kyiv, che proteggano l’Ucraina – ma anche l’Europa – da possibili future minacce da parte della Russia. Si evoca, come garanzia, un meccanismo simile all’articolo 5 del Trattato Nato, in base al quale nel caso in cui un Paese Nato venga aggredito gli altri membri si impegnano a intervenire militarmente a sua difesa.

Aldilà delle intenzioni certamente buone, la strada delle trattative resta in salita. La questione della cessione di territori ucraini alla Russia è un punto di netta divisione fra Kyiv e gli europei da un alto e Mosca dall’altro: Putin non vuole rinunciare alla riconquista del Donbas (dove il conflitto è iniziato nel 2014) che gli serve per motivi economici, strategico-militari, simbolici. Gli europei e Zelensky non accettano di cedere parti di territorio ucraino – del resto nemmeno la Costituzione ucraina lo permette - e invocano il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale del Paese.

Molti sono gli interrogativi. Uno su tutti: quanto ci si può davvero fidare di Putin e di Mosca? Gli ucraini hanno ben impresso nella loro memoria il tradimento del Memorandum di Budapest del 1994, siglato da Russia, Ucraina, Stati Uniti e Regno Unito: Kyiv si impegnò a rinunciare alle armi nucleari presenti sul suo territorio dopo la caduta del’Urss e ottenne in cambio la garanzia da parte di Mosca e degli altri firmatari della propria indipendenza, integrità territoriale e sicurezza. Nel 2014 il Memorandum venne apertamente violato dall’invasione e annessione della Crimea da parte della Russia. Dopo l’invasione su vasta scala del 2022, quel Memorandum è diventato carta straccia.

Altro interrogativo: quanto conviene a Mosca terminare la guerra proprio adesso e congelare le sue conquiste allo stato attuale? Un segno di reale disposizione alla pace da parte di Putin sarebbe la cessazione delle ostilità sul territorio ucraino. Invece, anche in questi giorni di incontri storici e aperture al dialogo, gli attacchi russi continuano costanti, massicci. Alla vigilia del vertice di Washington, la Russia ha lanciato una nuova ondata di raid che hanno causato morti e feriti, tra cui bambini. L’attacco più grave ha colpito Kharkiv, nel nordest del Paese. Anche la notte scorsa è stata segnata da pesanti bombardamenti con missili e droni di vario tipo, nella regione di Poltava sono state colpite infrastrutture elettriche e centinaia di abitanti sono rimasti senza luce.

Gli ucraini sono esausti. Chiedono la pace. Ma, dopo tre anni e mezzo di guerra in casa loro, non sono disposti a cedere su tutto. Sanno che dovranno fare delle rinunce dolorose, ma non intendono accettare qualunque condizione e richiesta da parte della Russia. Ora si guarda al futuro incontro bilaterale fra Zelensky e Putin: i tempi sono ancora da definire, ma entrambi i leader si sono detti disponibili. Una cosa è certa e chiara a tutti: non si possono fare accordi sulla pelle degli ucraini e sul destino della loro terra senza Kyiv.

(Foto Ansa: il vertice a Washington)