Benedetti e inviati a tutte le genti
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni.
Luca 24,46-48
Nella settima domenica del tempo di Pasqua celebriamo la solennità dell’Ascensione al Cielo di Cristo risorto: l’evangelista Luca racconta due volte il fatto, nell’epilogo del suo “primo libro” (il Vangelo) e all’inizio degli Atti degli apostoli (Prima lettura). L’evento viene da Luca precisamente collocato nel tempo e nello spazio: egli, attento più degli altri alla dimensione storica della Buona Novella, nota che Gesù è asceso al cielo, sotto gli occhi dei suoi discepoli, quaranta giorni dopo la Pasqua nei pressi di Gerusalemme, cuore del suo Vangelo, meta precisa del percorso terreno di Gesù, luogo in cui si è realizzata la salvezza, dalla Cena alla Passione, Morte e Resurrezione del Cristo, fino all’Ascensione e alla Pentecoste. Tutto doveva accadere là: «Tutti là siamo nati», «sono là tutte le sorgenti» (Salmo 87).
Gesù ascende al Cielo con il suo corpo risorto mentre benedice i suoi discepoli. Dio benedice sempre, dal principio e in eterno: il dono della vita è la sua originaria benedizione, è il suo primo atto, nel contesto della creazione, ed è l’ultimo atto di Gesù sulla terra, espressione di un Dio “vivo”, che è vita, che ama la vita e la dona alle creature viventi, che dà la sua vita per la salvezza dei fratelli, che è venuto nel mondo «perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza» (Giovanni 10,10). Gli apostoli lo adorano: «Ascende Dio tra le acclamazioni», «perché Egli è re di tutta la terra» (Salmo 46, che preghiamo nel responsorio). Gesù «non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore» e noi «abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del Suo Sangue» (II lettura). La Lettera agli Ebrei mostra come la solennità dell’Ascensione ci richiami alla nostra vocazione: possiamo essere tentati di “restare a guardare il cielo”, sgomenti e disorientati, in un’attesa priva di operosità; siamo invece chiamati a essere attivi, perché il tempo della Chiesa è tempo di testimonianza e non di nostalgia, e a rimanere sempre sotto lo sguardo di Dio, in eterno benedetti da Lui che “vede buone” le sue creature. Nessuna nostra mancanza cancella l’originaria bellezza e bontà che Dio ha messo e contemplato in noi fin dal principio.
TRADITORI E TESTIMONI Agli stessi che lo avevano tradito e abbandonato, che avevano manifestato la loro incredulità, il Signore affida, prima di salire al cielo, la missione di «essere suoi testimoni» «fino ai confini della terra» e promette che saranno rivestiti di potenza dall’alto mediante l’effusione su di loro, «fra non molti giorni», dello Spirito Santo. Nella solennità dell’Ascensione si celebra la Giornata delle comunicazioni sociali: siamo chiamati tutti a testimoniare e trasmettere la fede che custodiamo oltre ogni nostro peccato. Dio si fida di noi anche se siamo inaffidabili, e alle nostre povere forze affida l’annuncio del Vangelo, ovunque siamo e operiamo, in famiglia, nel lavoro, nella quotidianità. Noi gli saremo testimoni, proprio noi, con tutti i nostri fallimenti e imperfezioni! Per questo, come gli apostoli, viviamo «con grande gioia», «lodando Dio».