Caro direttore, le scrivo come fedele che in questo momento si sente fortemente confuso. Sono padre, quasi nonno, e in tutta la mia vita non ho mai messo in dubbio la mia fede, né tanto meno ha tentennato la mia totale fiducia verso il Pontefi ce, quale guida della Chiesa e vicario di Gesù in terra.
Ma le recenti “aperture” (come sono state chiamate dai media) di papa Francesco verso le coppie irregolari (anche quelle omosessuali), che potranno essere benedette nei luoghi di culto, hanno provocato in me una profonda lacerazione. Mi è sempre stato insegnato e ribadito da tutti i direttori spirituali che mi hanno seguito negli anni che il sacramento del matrimonio è indissolubile e che il divorzio, l’unirsi con un’altra persona dopo un fallimento coniugale, è un peccato grave. Quanto poi all’amore tra persone dello stesso sesso mi è sempre stato presentato come qualcosa di inammissibile per la dottrina cattolica, un attentato anche al valore più sacro della famiglia.
Ora è possibile che proprio Sua Santità, il capo della Chiesa, autorizzi a benedire queste offese a Dio? Su alcuni siti leggo di attacchi durissimi contro il Papa per aver compiuto questo passo, anche da parte di autorevoli ecclesiastici e, purtroppo, devo confi darle, che trovo molte delle loro argomentazioni condivisibili. Ed ecco che mi sento smarrito. Se può mi aiuti a fare chiarezza.
PAOLO G., ASCOLI PICENO
Caro Paolo, i testi del Magistero – ci insegnava un professore di Teologia – vanno letti e meditati in ginocchio, cercando, cioè, di comprenderne il senso profondo prima di emettere qualsiasi giudizio. Il documento a cui fai riferimento – la Dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni, che tratta della benedizione delle coppie non sposate in Chiesa e delle coppie omosessuali, pubblicata dal Dicastero per la dottrina della fede lo scorso 18 dicembre e autorizzata da papa Francesco – non fa eccezione. Il primo invito, quindi, è di leggerlo, proprio per non arrischiarsi in giudizi superficiali, e di non seguire a cuor leggero i tanti massimalisti o minimalisti della morale che si scatenano in queste occasioni sul Web. Il documento fornisce delle risposte a situazioni concrete di fronte a cui si trovano i pastori (esso risponde proprio a molte loro domande inviate al Dicastero), in un tempo in cui la complessità della vita e delle situazioni personali pone delle sfide sempre nuove all’annuncio del kerygma, cioè della lieta novella, da cui nessuno, ma proprio nessuno, è per mandato divino escluso.
Il tipo di documento scelto (una “Dichiarazione”) sottolinea l’importanza in termini di sviluppo e approfondimento sul tema delle benedizioni, tema pastoralmente importante che il Magistero ha più volte affrontato, non da ultimo in una nota esplicativa sulle coppie omosessuali del febbraio 2021, di cui la Dichiarazione rappresenta un approfondimento. Innanzitutto, resta ferma – e non potrebbe essere diversamente – la dottrina cristiana sul sacramento del matrimonio tra un uomo e una donna, in cui risiede la verità del sacramento secondo Dio. La benedizione degli sposi, che è parte integrante del rito, conferma nella loro carne la pienezza della grazia santificante, che li assisterà nel vivere la loro relazione sponsale feconda (di figli, se arriveranno, ma anche come “lievito” della Chiesa e della società). Le benedizioni, che «si celebrano in forza della fede e sono ordinate alla lode di Dio e al profitto spirituale del suo popolo» (n. 10), nella loro dimensione liturgica – conferita, cioè, in un rito previsto dal Benedizionale o altrove – non devono riferirsi a situazioni in contrasto con la legge o lo spirito del Vangelo perché esse preparano, essendo dei sacramentali, alla ricezione alla grazia santificante dei sacramenti.
Ma, e qui sta la novità, la comprensione teologico-pastorale – figlia di quella “carità pastorale” proposta da Francesco – del segno della benedizione spinge il Dicastero, dopo una disamina delle benedizioni nell’Antico e nel Nuovo Testamento, a darne una comprensione più ampia, anche al di fuori di un contesto liturgico ufficiale, per farla diventare una risorsa pastorale importante per chi, pur in situazione irregolare, si mostra bisognoso della presenza salvifica di Dio, riconosce la Chiesa come “sacramento di salvezza” e desidera «chiedere una benedizione mostrando con questa richiesta la sincera apertura alla trascendenza, la fiducia del cuore che non confida solo nelle proprie forze, il bisogno di Dio e il desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei suoi limiti» (n. 21). Nella Bibbia, infatti, è sempre Dio che benedice e non smetterà mai di benedirci perché «siamo più importanti di tutti i peccati che possiamo fare» (cfr. n. 27).
La benedizione delle coppie in situazione irregolare e omosessuali, dunque, potrà essere data in forma “semplice”, “spontanea”, non “rituale”, ma non potrà in nessun caso essere considerata segno di un’approvazione ecclesiale della situazione (e, infatti, non può essere data a chi rivendica la legittimazione del proprio status). Situazione che resta nel segno del peccato, ma apre così alla possibilità di investire dello Spirito Santo tutto quello che di buono, vero e umanamente valido può esserci in ogni situazione (cfr. n. 31). Soprattutto di avvicinare i cuori a Dio nella prospettiva della conversione e «far sentire a quelle persone che rimangono benedette nonostante i loro gravi errori» (n. 27).
Proprio per non creare confusione o scandalo, il Dicastero dispone che questo tipo di benedizioni non venga dato in occasioni ufficiali (riti civili, cerimonie, appuntamenti pubblici), ma rimanga nella sfera del privato, e vieta di creare benedizionali appositi da parte delle autorità ecclesiastiche, lasciando la formulazione delle benedizioni alla semplicità rituale e a un discernimento pratico dei pastori nei luoghi in cui, con più probabilità, questo tipo di benedizioni saranno più spesso impartite: i santuari.