La liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua offre alla nostra preghiera uno dei passaggi più intensi e consolanti del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù invita i suoi a «rimanere nel suo amore» portando frutti di amore vicendevole. Le parole della Lettera ai Filippesi e anche del brano di Atti che ascoltiamo nelle altre due letture, sono testimonianza di come il Vangelo sappia costruire legami profondi e come la fede condivisa possa essere di grande consolazione nel momento della prova.
Prima di consegnare ai suoi lettori i versetti che commentiamo, Giovanni ha messo sulla bocca di Gesù l’immagine ricca della vite e dei tralci, con la quale ha declinato il rapporto tra il Figlio e il Padre e dei discepoli con Lui. «Rimanete in me» è l’invito forte fatto ai suoi, come via per restare nella cura del Padre e portare frutto nella propria vita. Abbandonando l’immagine della vite e dei tralci, Giovanni rimodula poi il rapporto Padre-Figlio nei termini di una relazione d’amore. Inoltre, ciò che il Padre ha fatto per il Figlio viene concatenato – attraverso il «come» – con ciò che il Figlio ha fatto per i discepoli. Il «rimanere in Gesù» riferito alla vite diventa così «dimorare nel suo amore».
I discepoli non sono semplicemente chiamati a rispettare un comando etico generico circa l’amore, bensì a fondare la propria vita sull’amore di Cristo. «Rimanere nel suo amore» significa essere custodi dei suoi comandamenti trovando in Gesù stesso e nella sua esemplare obbedienza il paradigma e il fondamento del proprio agire. L’obiettivo delle parole di Gesù è destare la gioia nei discepoli, quella che possiede in prima persona e offre in dono perché siano nella pienezza.
Viene poi ripreso nuovamente il comandamento dell’amore che Gesù presenta come proprio, sottolineando la novità del fatto che sia Lui ad insegnarlo. È implicito che un simile amore non possa essere apprezzato, accolto, creduto e custodito se non con una vita corrispondente e a esso somigliante. Chi accetta di entrare in questa dinamica di amore ricevuto e vissuto, vive l’esperienza dell’amicizia «in Cristo e con Cristo». Amico di Gesù è colui che, stupito e lieto dell’amore ricevuto dal Maestro, manifesta la sua riconoscenza e appartenenza obbedendo al suo comando, cioè amando a sua volta.
È in virtù di un legame simile che i discepoli vengono messi a parte di ciò che Gesù conosce, in particolare del volto di Dio. L’iniziativa è tutta sua e il rapporto con Lui è possibile anzitutto per sua volontà. Ma non si deve immaginare una gerarchia: la lavanda dei piedi è stata suffcientemente chiara a riguardo.
I discepoli, e con loro ogni credente, sono chiamati a produrre frutti, cioè ad assumere l’impegno esistenziale a praticare il comandamento dell’amore. Coloro che accolgono queste parole, ogni volta che si rivolgeranno al Padre, non potranno che chiedere aiuto, sostegno e benedizione nell’impegno a dar frutto. Per questo saranno sempre ascoltati, perché in tal modo chiederanno nient’altro che il realizzarsi della volontà di Dio.