Il brano del Vangelo per l’odierna solennità, tratto ancora dal discorso di Gesù all’ultima Cena, è la continuazione della pagina proclamata a Pentecoste. Gesù, nei sei versetti di questa domenica, parla di sé come del Figlio, parla del Padre, e del Paràclito, lo Spirito Santo.
Noi ci soffermiamo invece sulla scena biblica proposta dal libro della Genesi, quella di Abramo che accoglie i tre ospiti. Si tratta di una delle pagine più belle e suggestive di cui Abramo è protagonista: basterà ricordare che ha ispirato anche uno splendido mosaico del VI secolo nella Basilica di San Vitale, a Ravenna.
La scena è ambientata nei dintorni di Ebron, poco a sud di Gerusalemme (dove ora si trova la tomba dei patriarchi costruita da Erode il Grande), e inizia in modo da introdurne da subito il contenuto: «Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre» (18,1). Il lettore, però, appena dopo, viene ad apprendere che invece del «Signore» sono «tre uomini» che si avvicinano alla tenda di Abramo. Questi sembrano persone normali, non hanno alcuna caratteristica superumana, anche se sono chiamati qui «uomini» (18,2) mentre, più avanti, saranno definiti «angeli» (19,1).
Qual è lo scopo di questa visita? Il testo non lo dice, ma l’interpretazione giudaica collega questa scena con quella che la precede. Appena prima, infatti, l’autore sacro aveva raccontato come il Signore aveva stipulato con Abramo un’alleanza, con un segno che toccava addirittura la sua carne, quello della circoncisione. I rabbini così immaginano un dialogo tra Dio e la sua corte celeste: «Il terzo giorno dalla sua circoncisione, quando Abramo stava soffrendo dolori atroci, Dio parlò agli angeli, e disse: “Andate a far visita agli ammalati”. Gli angeli si rifiutarono, e dissero: “Che cosa è l’uomo, che tu ti ricordi di lui? E il figlio dell’uomo, perché tu debba visitarlo? E tu vuoi abbassarti ad andare in un luogo di impurità, un luogo dove sono sangue e sporcizia?”. Ma Dio replicò loro: “Voi avete detto questo? Il sapore di questo sangue è più dolce, per me, della mirra e dell’incenso, e se voi non volete andare da Abramo, ci andrò io stesso, da solo”».
Il messaggio di questo racconto è chiaro: Dio dà l’esempio e compie un’opera di misericordia, egli stesso per primo, quella di visitare gli ammalati. Al rifiuto degli angeli, il Signore si mette in gioco, ed è disponibile a recarsi in un luogo dove c’è sangue (uno degli elementi che rendono impuri) e sporcizia (un riferimento alla ferita della carne di Abramo). Ma anche il racconto rabbinico si interrompe lasciando sospeso il lettore: è Dio che ha visitato Abramo, sono i suoi “angeli”, o sono “uomini”?
Se è Dio che visita Abramo, egli lo ospita con generosità. Nella Lettera agli Ebrei si legge: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (13,2). La philoxenia, l’amore per lo straniero, l’attenzione alla persona non conosciuta, all’ospite inatteso, è l’impegno che sgorga dal contemplare la Trinità che visita la nostra povera umanità ferita.