Le parole di Gesù che ascoltiamo nel Vangelo sono pronunciate appena dopo che il giovane ricco (nel racconto di Luca è un «notabile») si è allontanato dal Signore: gli era stato chiesto di lasciare tutto quello che aveva per darlo ai poveri, e di seguirlo, ma invece, udito il suo invito, «divenne assai triste perché era molto ricco».
La ricchezza, in sé, non è un male e non è mai condannata nella Bibbia; anzi, la prosperità è segno della benedizione di Dio. Si pensi a Giobbe, che – provato in tutto, e privato dei beni, degli affetti, della salute – dopo la sofferenza torna a possedere quello che aveva perduto, e diventa ancora più ricco; oppure ricordiamo Abramo, che nonostante le sue vicissitudini e i pericoli che affronta continuamente, si arricchisce sempre più di beni. Ancora, si pensi al gesto dell’apostolo Barnaba che, come racconta Luca negli Atti, usa le sue ricchezze (il campo che possedeva) per i poveri (4,36-37).
La ricchezza, però, rappresenta un pericolo: ad essa ci si può attaccare al punto da credere di potervi trovare la salvezza.
Ecco la ragione per cui Gesù proclama beati i poveri (Luca 6,20), perché questi possono confidare in Dio e non nei beni terreni. Ed ecco perché ora Gesù dice che per un ricco è difficile entrare nella logica del regno di Dio, quella, appunto, che permette di affidarsi al Creatore, e non alle ricchezze.
Salomone, figlio di Davide, e re di Israele e Giuda, aveva già compreso tutto questo. Sapendo di quali responsabilità era stato investito, domanda a Dio la saggezza per governare, e non solo la ottiene, ma gli viene concesso anche quello che non aveva domandato, cioè ricchezza e gloria. Per tale ragione il re Salomone, grazie alla sua sapienza, è considerato dalla tradizione giudaica l’autore di gran parte dei libri cosiddetti “sapienziali”: il Cantico dei cantici (che avrebbe composto da giovane, nel fiore degli anni, da innamorato), del libro dei Proverbi (che avrebbe scritto da uomo maturo), e del Qohèlet (scritto ormai da vecchio, con uno sguardo più realistico sulla vita).
Poiché la ricchezza è pericolosa, il “sogno di Dio”, allora – lo stesso sogno avuto da Salomone in quella notte – è che la creatura confidi nella Provvidenza. Dio, misericordioso e generoso, non farà mancare nulla a chi si affida a Lui e, anzi, proprio come Gesù dice a Pietro, gli darà il centuplo di quanto si lascia per il Regno.
Leggendo quello che Paolo scrive alla comunità di Corinto, una delle città allora più ricche dell’Impero romano, scopriamo che la ricchezza non è rappresentata solo dai beni come il denaro o le proprietà, ma anche da tutto ciò che può darci sicurezza: ci si può arricchire anche di gloria, come quelli che ripongono, scrive l’Apostolo, il «proprio vanto negli uomini», o, addirittura, si può credere di essere ricchi di pseudosapienza mondana. Bisogna combattere anche questa pretesa, perché, dice Paolo, «se qualcuno si crede un sapiente in questo mondo» si illude, e piuttosto deve farsi «stolto per diventare sapiente».