Come già domenica scorsa, anche oggi il lezionario insiste sul non giudicare e sul perdono. Nel capitolo settimo di Luca era una donna prostrata ai piedi di Gesù a essere perdonata, e ora, nella parabola raccontata dal Signore in cammino verso Gerusalemme, è un pubblicano a essere giusticato, e non il fariseo che – ritto in piedi, vicino a lui, nel Tempio – presume di essere giusto. Come l’Israele che ha peccato ed è stato perdonato, e al quale, scrive Isaia nella prima lettura, Dio non nasconde più il suo volto, il pubblicano può finalmente alzare i suoi occhi al cielo. Non dovrà più essere giudicato dal fariseo (che diceva tra sé «non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano»), e infatti – ci ricorda Paolo nella seconda lettura – non si può giudicare o disprezzare il fratello: «D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri».
La pagina del Vangelo può essere suddivisa in tre parti: una introduzione, di un solo versetto; la parabola, al centro, di quattro versetti; la conclusione, introdotta da Gesù con la formula solenne: «Io vi dico… ». La parabola però non riguarda solo il perdono: nel vangelo di Luca si trova infatti piuttosto nel contesto dell’insegnamento sulla preghiera. L’occasione di questo racconto fittizio è illustrata da Luca ed è legata ai destinatari, ovvero «alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri».
Si sta parlando di “alcuni”, espressione che può includere non solo i farisei, e nemmeno necessariamente tutti i farisei: pensiamo a quanti diversi tipi di farisei vi erano, e come sono dierenziati anche nei Vangeli (si può ricordare, ad esempio, Nicodemo, che nel vangelo secondo Giovanni seppellirà il corpo di Gesù). La parabola riguarda coloro che sono autocentrati, sicuri di sé, convinti di essere accetti a Dio per i propri meriti. Riguarda anche coloro che giudicano e che insultano coloro che ritengono inferiori: il verbo exoutheneo (disprezzare), usato dal fariseo, è usato anche per descrivere Erode che insulta Gesù durante la sua passione (Luca 23,11).
I protagonisti della parabola non sono scelti a caso: sono due uomini, che rappresentano due polarità opposte nel giudaismo del I secolo. I farisei erano le persone più pie e devote. La postura e la preghiera del fariseo sono signicative: è in piedi, sicuro di sé, diversamente dal pubblicano, che rimane indietro, forse nello spazio più remoto rispetto all’edificio del Tempio, nel cortile dei Gentili. Il pubblicano non alza gli occhi al cielo, ma si riconosce peccatore battendosi il petto. La sua preghiera non è una lode a se stesso, ma richiesta di una sola cosa: misericordia, con l’espressione «Abbi pietà». Il pubblicano non fa alcun confronto, si considera l’unico peccatore, un vero peccatore. Come abbiamo già detto, però, è lui a essere giustificato. Ha reso onore a Dio che può perdonare, e per questo è diventato un esempio per ogni fedele che vuole rivolgersi al Signore.