Nella seconda domenica dopo l’Epifania, la liturgia della Parola ci propone il brano delle nozze di Cana. Si tratta del primo dei segni compiuti da Gesù che l’evangelista racconta e riveste una particolare importanza nell’economia del Quarto Vangelo. Si tratta, infatti, di un gesto dal carattere programmatico, perché anticipa il senso dell’incarnazione del Figlio e costituisce la prima occasione di manifestazione della «gloria» di Gesù, cioè della presenza di Dio in lui.
Perché non vi siano dubbi riguardo al senso dell’incarnazione, Giovanni, per il primo dei segni di Gesù sceglie il genere letterario del «miracolo di prodigalità». Un tipo di racconto che tiene insieme il desiderio di vita compiuta che c’è in ogni umano, l’esperienza della frustrazione e del travaglio e il sopraggiungere inaspettato di un’abbondanza di vita per mano di una divinità o un suo rappresentante.
Il Figlio, dunque, viene nel mondo per compiere l’aspirazione a una vita piena e compiuta che c’è in ciascuno. Anche rispetto alla presenza di Dio in Gesù, Giovanni chiarisce subito che il suo manifestarsi sarà paradossale e che il trono da cui rivelerà tutta la sua «gloria» non sarà quello che tutti aspettano. Nel racconto di Cana, infatti, il quarto evangelista mette subito un richiamo alla Croce. In quel riferimento alla «sua ora» che ancora non sarebbe giunta, Gesù rimanda direttamente al Calvario, dove peraltro sarà presente la Madre, come in questa circostanza. Tutto il Vangelo di Giovanni ha come orizzonte la Croce quale chiave interpretativa del manifestarsi della divinità in Gesù. Solo questi pochi dettagli lasciano intendere lo spessore teologico di questo primo miracolo di Gesù.
Entrando nel dettaglio del racconto, dopo aver presentato i personaggi dando particolare rilievo alla madre per il ruolo che avrà, Giovanni struttura l’episodio in tre passaggi: la preparazione del miracolo, la descrizione indiretta del prodigio e la conferma di quanto accaduto. Il battibecco tra la madre e il figlio prepara il seguito. Se la prima manifesta una totale fiducia nel figlio e in quel che farà, questi bada invece di mostrare come agisca autonomamente e quanto abbia chiaro il senso, i contenuti e i tempi del suo manifestarsi e del compiersi della sua missione. I servi obbediscono senza indugio alle indicazioni di Gesù. Vanno riempite le giare, la cui capienza è funzionale a descrivere l’abbondanza del dono di grazia di cui Cana è immagine. Si tratta di vasi per la purificazione rituale prescritta dalla Legge mosaica, sono vuoti e sono solo sei (numero dell’imperfezione): traboccheranno di vino eccezionale a dire il superamento e compimento dell’Antica Alleanza nella Nuova portata dal Figlio.
Il miracolo è confermato dal maestro di tavola, il quale però non si rende conto di ciò che va accadendo. Il prodigio resta nascosto e Gesù in incognito. Già nel Prologo Giovanni ha raccontato di un «mondo» che non sa riconoscere la Luce che viene. A Cana, Gesù comincia dunque a rivelare che Dio in mezzo all’umano è solo abbondanza, gioia e pienezza di vita.