Questa quarta domenica di Quaresima – quella del cieco nato – siamo chiamati a soffermarci sul passo del Vangelo secondo Giovanni che ci parla di peccato, fragilità, grazia e salvezza. La prima cosa che ci dovrebbe stupire è la domanda che i discepoli pongono a Gesù: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». L’antica concezione prevedeva che la natura fallata di una persona malata dalla nascita fosse legata al peccato compiuto da qualcuno. Il Signore ci offre una nuova prospettiva che scardina completamente quella del tempo e che prevede l’irrompere della grazia divina all’interno della vita fragile dell’uomo: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio». L’opera di Dio è la grazia: le mancanze, le fratture e le crepe della nostra persona sono lo spazio che permettono di essere sanati da Lui.
Soffermiamoci sulla forza di questa impostazione rivelataci da Gesù: quante volte siamo incapaci di guardare alle nostre mancanze e fragilità come condizione che avvicina Dio alla nostra persona? Spesso siamo noi i primi a tollerarle, costretti tristemente ad accettarle, trascinandole come un macigno che ci rallenta nel cammino quotidiano. Ascoltiamo le parole del Signore: in quelle mancanze opera la sua grazia, sono lo spazio che permettono il compiersi dell’opera di Dio. Le crepe della nostra vita non ci allontanano da Lui, ma ci ricordano della nostra necessità da lasciarlo operare in noi. È uno sguardo nuovo e luminoso quello che il Signore ci invita ad avere nei nostri confronti, educandoci a non restare schiacciati dal peso di ciò che ci manca, ma aggrapparci sempre più a Colui che può sanarci.
Di fronte alla salvezza attuata dal Signore Gesù ci sono persone incapaci di gioire per l’atto compiuto, persone che non sanno andare oltre la condizione del cieco prima di aver incontrato Gesù. Non basta che il cieco ripeta per due volte come si sono svolti i fatti; il cuore di chi mette la Legge davanti all’uomo reputa inconcepibile accogliere la salvezza se essa avviene di sabato, nel giorno in cui non è possibile svolgere alcun lavoro. Ecco allora che le parole non possono essere diverse da queste: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato»; e «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». Questo è lo sguardo di chi non si lascia illuminare dalla parola di Gesù, ma ripete indossando il paraocchi ciò che era scritto nella Legge. La freddezza di queste persone porta addirittura i genitori del cieco guarito ad allontanarsi da lui, a prenderne le distanze. Quanto dolore e quanto disamore è frutto di un approccio scorretto alla Legge, quando dimentichiamo che l’uomo e la sua dignità vengono prima di qualsiasi parola scritta, perché la Parola più importante ci insegna la Legge dell’amore e non la legge.
Chi fa esperienza dell’opera di Dio, chi viene sanato dal suo amore, ecco che non ha bisogno di comprendere ogni cosa per credere, ma la fede si accende nel suo cuore e può arrivare a dire, come il cieco nato: «Credo, Signore!».