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venerdì 25 aprile 2025
 

Domenica 21 luglio 2024 - IX dopo Pentecoste

Il brano evangelico scelto per la liturgia della nona domenica dopo Pentecoste ci porta in una fase cruciale del testo di Marco. Gesù e i suoi si trovano a Nord in territorio pagano e il Maestro ha appena annunciato ai discepoli la sua passione e rIsurrezione. Pietro ha reagito male alla notizia, prendendosi la libertà di rimproverare Gesù, il quale, per tutta risposta, ha ammonito severamente il discepolo, paragonandolo a Satana e ordinandogli di tornare al suo posto, quello di chi segue il Maestro.

Chiuso il battibecco, l’interlocutore di Gesù improvvisamente cambia. Ricompare infatti la folla, alla quale viene rivolto un insegnamento generale su cosa comporti essere discepoli. L’insegnamento è composto dalla sentenza che apre il brano e da quattro affermazioni che valgono come giustificazioni della stessa. Gesù mette a tema le conseguenze della sequela: andare con Lui cosa comporta? Lo spiega con tre imperativi («rinneghi... prenda... mi segua...») di cui i primi due pongono delle condizioni, mentre il terzo indica quel che deve accadere una volta soddisfatte le premesse. I due requisiti, però, sono alquanto problematici perché contrastano con gli interessi vitali della persona. «Rinnegare se stessi» e «prendere la croce» non sono certo immagini di realizzazione personale. Il primo imperativo usa il verbo della rinuncia alla fede, che in senso personale va inteso come la disponibilità a trascurare l’importanza che si ha ai propri occhi. Il secondo, invece, indica fino a che punto ci si deve spingere in tale disconoscimento.

Attenzione: Gesù non sta invitando al martirio. Parla della «sua» croce, cioè sta invitando i discepoli a una comunanza di destino con Lui, una condivisione profonda di vita che comporta anche il rifiuto dell’autorealizzazione quale idolo assoluto, secondo il suo stile. Seguirlo, quindi, non esclude la possibilità del rifiuto, dell’umiliazione, del fallimento, della tribolazione, infine anche della morte.

L’insegnamento prosegue con un’affermazione paradossale che intende giustificare la logica della Croce, ma che lascia spiazzati i lettori: per salvarsi occorre perdere la vita. Il centro dell’affermazione non è però la morte in quanto tale, bensì la sua ragione: «per causa mia e del Vangelo». Si potrebbe ribaltare l’affermazione dicendo che non c’è modo di «salvare la vita» se non con Gesù e il Vangelo.

Le domande retoriche dei versetti successivi aiutano la comprensione del significato delle affermazioni del Maestro. Infatti, la scontata risposta negativa porta il discepolo a capire che rinunciare a «salvare la propria vita» significa in sostanza rinunciare a «possedere il mondo intero». In sostanza, si tratta di rigettare l’idea che sottomettere ogni cosa con il potere sia una via di vita piena.

L’alternativa è presentata dal versetto conclusivo: «arrossire di Gesù e delle sue parole» significa rigettare la logica della croce per sposare la conquista del potere e l’ossessione del possesso. Scelta su cui il giudizio è già scritto.


18 luglio 2024

 
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