La Pentecoste (in ebraico Shavuot, cioè “settimane”, ovvero “festa delle Settimane”) è stata celebrata anche da Gesù, perché era una delle tre feste di pellegrinaggio – insieme a Pasqua e alla festa delle Capanne – a cui gli ebrei maschi adulti erano obbligati. Si trattava, in origine, della festa agricola di ringraziamento per il raccolto, di cui si parla anche nel libro di Rut, ma vari decenni prima di Cristo aveva già assunto un signifi
cato legato al dono della Legge: Israele non sarebbe stato completamente libero dalla schiavitù dell’Egitto,
fin quando non avesse accolto al Sinai – cinquanta giorni dopo il passaggio del Mar Rosso – il dono dei precetti, il “giogo” della Torà.
Si tratta di un vero e proprio insegnamento anche per noi: la libertà non può essere mai un
fine assoluto, perché può farci diventare schiavi di noi stessi! Così diceva san Giovanni Paolo II: «La libertà non è
fine a se stessa; essa è autentica solo quando viene posta al servizio della verità, della solidarietà e della pace».
Poiché la festa di Pentecoste era la celebrazione della libertà, che si compie però con il dono della Legge al Sinai, nel racconto degli Atti si possono trovare alcuni elementi di quella manifestazione divina: il fragore simile al tuono, il fuoco, e la capacità di parlare lingue straniere (poi formulata dall’esegesi giudaica a commento dell’episodio).
Pentecoste, però, per la comunità dei primi discepoli che si ritrovavano nella stanza al piano superiore della casa, era soprattutto il compimento della promessa di Gesù. Questa idea è importante, perché esprime, da una parte, la fedeltà di Dio, che mantiene quanto ha detto, e dall’altra invita ad avere pazienza: perché si compiano le promesse bisogna attendere quarantanove giorni!
Il Vangelo riprende il tema dello Spirito Consolatore, promesso – si diceva – da Gesù nell’ultima Cena. Tutta questa parte del discorso di Gesù è tenuta insieme dal tema dell’amore. Lo Spirito è amore, è donato per amore, ed è ricevuto per amore. Il discepolo che ama Gesù dimostra questa unione d’amore osservando i suoi comandamenti (14,15), e Gesù chiederà al Padre di portare a compimento questo amore con il dono dell’«altro Consolatore» (14,16b).
Lo Spirito è chiamato qui «l’altro Paraclito» («l’altro Consolatore»): consolerà i discepoli come faceva Gesù, e svolgerà le funzioni di difesa quando questi saranno in pericolo e avranno bisogno di aiuto. Ma è «altro» da Gesù: non prende la carne come il Figlio («la Parola si è fatta carne»; Giovanni 1,14), e non dovrà nemmeno sfiorire la morte, che invece viene annunciata dal Signore, anche nella nostra pagina (cfr. 15,19).
Se l’Amore di Dio, e il suo Spirito, sono un dono gratuito per ogni uomo, serve ricordare che quel dono è costato la vita di Gesù. Lo Spirito ricevuto nel giorno del Battesimo non va mai rattristato («Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione»; Efesini 4,30), perché è dallo Spirito che viene la capacità di amare e donare la vita.