Le letture della seconda domenica di Quaresima sono straordinarie, da tanti punti di vista. Il brano dal libro del Deuteronomio, l’ultimo della Torah, è quello delle “Dieci parole” (il Decalogo), in una versione ulteriore oltre a quella del libro dell’Esodo (20,217). Tra le differenze che emergono confrontando le due versioni segnaliamo le seguenti. L’osservanza del sabato nel libro dell’Esodo è legata al compimento della creazione («non farai alcun lavoro… perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno»: 20,1011), mentre nella versione di questa domenica il terzo comandamento ha un significato più sociale: di sabato non si deve lavorare «perché sei stato schiavo nella terra d’Egitto».
Nel ricordare la propria liberazione dalla schiavitù, Israele deve comportarsi allo stesso modo con gli altri uomini, perché anche i servi e gli schiavi sono esseri umani, e ad essi è esteso il dono del riposo. Un’ulteriore dierenza tra i due Decaloghi riguarda il ruolo di Mosè. Mentre nel libro dell’Esodo è Dio stesso a pronunciare le dieci parole (Esodo 10,1), nel Deuteronomio è accentuata la mediazione tra Dio e il popolo esercitata da Mosè, vero “profeta” che parla a nome di Dio («… io stavo tra il Signore e voi, per riferirvi la parola del Signore»: 5,5).
Il dialogo di Gesù con una donna anonima, in Samaria, presso il pozzo di Giacobbe, trova un suo snodo fondamentale proprio quando Gesù è riconosciuto da lei come un «profeta». Rileggendo la pagina del vangelo di Giovanni da questo punto di vista, ci accorgiamo che i modi in cui la Samaritana si rivolge a Gesù indicano il percorso attraverso il quale questa giunge alla fede in lui. L’evangelista infatti non mette a caso nel testo i nomi con i quali è chiamato il Signore.
Gesù all’inizio del racconto è un viandante qualsiasi, uno sconosciuto. Anzi, è un giudeo, e quindi un nemico dei Samaritani. Poi però la Samaritana capisce dalle prime battute del dialogo che Gesù è un profeta, perché egli le ha rivelato il mistero della sua vita più intima, privata, e la storia dei suoi “cinque mariti”: «Gli replicò la donna: Signore, vedo che tu sei un profeta» (4,19). Ma non nisce qui il percorso di scoperta dell’identità di Gesù: alla fine, quando ormai il dialogo è entrato nella questione importante dell’adorazione di Dio, la donna giungerà a credere che questi è il Messia. Infine, l’ultimo passaggio: alla chiusura del brano, in 4,4142, saranno infatti gli stessi Samaritani a dare l’ultimo titolo a Gesù, quello di salvatore: «Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”».
La fede cristiana ci porta a riconoscere che Gesù non è solo “uno” tra i profeti, e che il cammino compiuto dai Samaritani è possibile per tutti. Da qui, l’esigenza profonda di ascoltare ancora e mettere in pratica le “Dieci parole".