La liturgia della domenica nell’Ottava del Natale ci fa ascoltare, come lettura evangelica, una sezione del cosiddetto Prologo di Giovanni. Nei primi cinque versetti del Prologo, Giovanni parla dell’origine divina del «Verbo» e della sua venuta nel mondo da Lui stesso creato; nella seconda parte presenta il quadro storico della venuta del «Verbo» e nella terza, che nella liturgia non ascoltiamo, parla della risposta dei credenti.
Il richiamo al «Principio», con cui si apre il Prologo, non si riferisce all’origine creata delle cose, bensì a ciò che la precede. Potremmo dire che il tema è ciò che sta prima del creato, che fa da fondamento alla possibilità stessa della creazione. In questo «Principio» Giovanni ci fa contemplare un Dio che ha come parte stessa della sua essenza l’essere linguaggio, parola (il «Verbo», nell’originale greco Logos), comunicazione, espressione, e dunque relazione, legame, pro-tensione verso l’altro, apertura.
L’evangelista passa poi a definire il rapporto del «Verbo » e di Dio con il mondo. Quest’ultimo è stato creato da lui e ogni cosa è opera sua. La «Parola» in cui e con cui Dio si esprime è il dare vita. Ogni volta che Dio si pronuncia, mette al mondo. Ogni sua parola è Parola di Vita. Il suo esprimersi, il suo modo di entrare in relazione ha come effetto, obiettivo e senso quello di creare Vita. Non c’è alcun agire di Dio che sia distruttivo e capace di causare morte.
Nel suo pronunciarsi, però, Dio non solo offre vita ma anche il suo significato, come l’immagine della «luce» lascia intendere. La sua Parola è quella che consente di colmare di senso l’esistenza. La venuta del «Verbo» in Gesù soddisfa proprio la ricerca di vita e di senso dell’umanità. Dunque è proprio Gesù la luce che brilla nelle tenebre, nel senso che la sua venuta mostra come non vi sia nel mondo (seppur buono poiché creato da Dio) pienezza di senso, bensì il contrario, soprattutto quando e se si chiude alla rivelazione di Dio.
Dopo aver parlato dell’origine divina del «Verbo» Giovanni si dedica al movimento dell’Incarnazione. In questo gioca un ruolo importante la figura del Battista. Viene presentato come inviato per essere «testimone», cioè per annunciare e farsi interprete della venuta del «Verbo» nella carne di Gesù. Il primo atto interpretativo del Battista è riconoscere e indicare Gesù stesso come «luce». La potenza divina creatrice, salvifica, vivificante e portatrice di senso si trova dunque presente nel Nazareno. Questa venuta chiama a una decisione e davanti a essa non si può restare neutrali o indifferenti.
Per quanto il «Verbo» e il mondo si appartengano a vicenda, accade spesso che il secondo rifiuti il primo, ma vi è anche chi lo accoglie. A costoro è data l’occasione di una relazione peculiare con Dio che Giovanni descrive nei termini di «figliolanza», immagine di un rapporto positivo, compiuto e unico con Lui. Tutto questo grazie a Colui che era «presso Dio» e, assumendo la natura umana, ha reso Dio vicino con la sua presenza amorosa, creatrice, salvifica.