Non c’è incarnazione migliore per le parole che Paolo rivolge ai Galati dei gesti e degli atteggiamenti di quella donna che irrompe nella casa di Simone il fariseo per ungere i piedi di Gesù dopo averli bagnati con le sue lacrime. È Luca a darcene notizia con il brano che ascoltiamo nella terza lettura domenicale e che accompagna l’estratto della lettera ai Galati da cui è presa la citazione sopra. Scrive l’Apostolo: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Galati 2,20).
Nel testo di Paolo, i Galati si sentono richiamare con una certa vigoria da Paolo a non smarrire la strada della vita secondo lo Spirito di Dio. L’Apostolo racconta di sé come uno che sperimenta una profonda comunione con Gesù, in una sorta di interscambio di vita secondo il quale lui vive in Cristo e Cristo vive in lui. Il Figlio di Dio si è consegnato alla crocifissione anche per lui e per questo Paolo si consegna allo stesso modo in una vita offerta per il Cristo. Una simile prospettiva supera infinitamente la logica dell’obbedienza alle Legge che, se Paolo non annulla, dichiara però ormai inutile ai fini della giustificazione. La fede nella Grazia che si manifesta nel mistero della Croce è ciò che i Galati devono tenere accesa e salda per vivere in Cristo sull’esempio dell’Apostolo.
È una fede sconfinata nella Grazia anche quella che muove la donna ad abbracciare i piedi di Gesù in un gesto di meravigliosa e delicatissima intimità affettuosa. I commenti interiori del fariseo padrone di casa sanno invece dell’arrogante presunzione di chi con eccessiva sicurezza pensa di conoscere i pensieri di Dio. Per lui, che rischia di trattare Dio come un idolo maneggevole e prevedibile, è già scritto un giudizio sulla donna e su Gesù: la prima è una peccatrice senza via di scampo; il secondo non è certo un uomo di Dio. Sembra di rivedere in lui l'atteggiamento di Israele ritratto dalle parole di Osea: agli occhi del suo popolo, il Signore nel suo essere compassionevole appare prevedibile come il sorgere del sole.
Nella donna, invece, c'è ben altro. Nessuna arrogante sicurezza di ottenere misericordia, né presuntuosa pretesa di saper commuovere in qualche modo il cuore di Gesù. Solo umile e abbandonata dedizione ma, soprattutto, un profondissimo amore. Non c'è spazio per il calcolo e per gelide considerazioni. Non importa nemmeno che i gesti compiuti siano non solo inopportuni ma del tutto disdicevoli. Importa l’amore. La chiusura della paraboletta sui debitori lo dice con chiarezza: il rapporto che Dio cerca e offre è di reciproco affetto e non di stampo giuridico. La sua misericordia si comprende nella misura in cui si ama e l’amore è il frutto stesso della sua compassione. È il linguaggio che Gesù parla. Quello che gli fa compiere discorsi inattesi e costruire vie di salvezze insperate. Quello che lo fa essere così aperto all'incontro e così trasparente nella relazione, da non preoccuparsi di contaminazioni di sorta. L’amore a cui Simone non si è ancora concesso ma che, infine, attende anche lui.