In questa ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa festeggia la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Al centro del passo del Vangelo sta il tema della regalità di Gesù, una regalità profondamente diversa da quella dei re terreni. La scena narrata avviene dopo l’arresto di Gesù, quando Egli davanti a Pilato è chiamato a confermare o meno di essere “re dei Giudei”. Per prima cosa il Signore dichiara che il suo regno non è di questo mondo; in secondo luogo non si definisce re, ma dice: «Tu lo dici: io sono re», mettendo sulle labbra di Pilato la risposta alla domanda posta dal prefetto romano.
Riflettere sulla regalità di Gesù vuol dire riconoscere i tratti specifici che la caratterizzano: il Signore è un re senza corona, se non una corona di spine; è un re senza un trono sontuoso, se non due assi di legno che formano una croce; è un re che non ha servitori, ma che si è messo a servizio degli altri.
«Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»: così si conclude il passo odierno di Giovanni. La verità passa attraverso la parola, i gesti e la testimonianza di Gesù, che noi dobbiamo essere capaci di riconoscere e vivere. Sarebbe stato più facile se Cristo Re dell’universo avesse avuto lo stesso stile di tutti gli altri re della Terra: non avrebbe creato scandalo, non avremmo avuto il peso legato all’esercizio della nostra libertà. Eppure così non sarebbe stato possibile il realizzarsi della salvezza per l’uomo. Ogni re ha i suoi sudditi, ma noi siamo chiamati a scegliere liberamente ogni giorno di essere suoi, ricordando che ci invita ad essere suoi amici, non suoi servi. Come nel passo del Vangelo, non è Gesù stesso a imporsi come re, ma è il singolo che deve riuscire a riconoscerlo e vederlo per ciò che è.
La singolare regalità di Gesù ci interpella su come viviamo le relazioni e su quanto siamo capaci di credere nella forza della carità, del servizio e dell’amore fraterno. Come scrive San Paolo: se avremo piena conoscenza della sua volontà, porteremo frutto in ogni opera buona. Sapremo, allora, testimoniare il suo stile e non la mentalità di questo mondo, in cui comandare è sovrastare l’altro anziché servirlo. Ogni volta che incontriamo il suo sguardo sulla croce ridiciamo «Tu sei re», diciamolo per non rischiare di essere noi i primi ad esercitare un potere diverso dal suo, per non confondere l’imposizione con la testimonianza, per non dimenticare lo straordinario dono di cui siamo fatti partecipi.
Tra meno di due mesi sarà Natale, ci ritroveremo ancora una volta a celebrare la nascita di Gesù, di un re che muore in croce ingiustamente e sceglie di nascere nella povertà più assoluta dentro una semplice grotta, scaldato solo dalla vicinanza di un asino e un bue. Siamo pronti ad accettare lo scandalo dell’amore più vero che la storia dell’umanità ha conosciuto? Siamo pronti a scegliere un potere che non sovrasta, ma eleva il fratello? Siamo pronti a renderci ultimi per essere primi? Chiediamo nella preghiera che il Signore ci educhi sempre più.