La pagina del Vangelo è molto simile a quella che per Marco e Matteo sarà la scena dell’unzione di Betania, che però verrà collocata da essi poco prima della passione di Gesù, mentre per Luca siamo quasi all’inizio del suo ministero, al capitolo settimo del libro.
Gesù si trova a tavola – come avviene spesso nel terzo Vangelo – coi farisei, in una situazione nota ai lettori pagani, abituati a quei simposi durante i quali non solo si mangiava, ma vi era anche un dialogo tra ospiti e padrone di casa. Questo pasto però viene interrotto.
Mentre il fariseo, ma senza dirlo apertamente, si scandalizza per una donna che, entrata nella casa, si prostra ai piedi del Signore e piangendo compie verso di lui gesti di sincero a
ffetto, Gesù la difende, attraverso una strategia in due tempi. Anzitutto racconta una parabola sul condono di un debito, e poi si rivolge direttamente al padrone di casa, per vericare che ne abbia compreso il significato. Dalle parole dette da Gesù al fariseo emerge una questione interessante, col versetto reso dalla versione ufficiale Cei con «sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato». Vi è anche un’altra possibilità di intendere il greco, vedendo l’amore come l’e
ffetto del perdono: poiché a quella donna sono stati perdonati molti peccati, essa ha amato molto. Ma lo sviluppo della scena dice che il perdono di Gesù – fatta salva la sua gratuità – viene dopo («I tuoi peccati sono perdonati») che la donna ha compiuto quei gesti di amore nei confronti del Signore, e ciò sembra confermato dalla teologia della prima lettura.
La pagina lucana è, infatti, illuminata dal profeta Osea, con una frase che avrà molta fortuna nei Vangeli: «Voglio l’amore e non il sacricio» (Osea 6,6). Il Gesù di Matteo la citerà due volte, per difendere dalle contestazioni dei farisei prima Levi – il peccatore chiamato dal banco delle imposte – e poi i discepoli che raccolgono da un campo, in giorno di sabato, delle spighe per mangiarle: «Andate a imparare che cosa vuol dire Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Matteo 9,13). L’invito a non concentrarsi sui sacrifici e ad amare Dio sarà importante anche per l’ebraismo, che dovrà ripensarsi dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, compiuta dai Romani nel 70 d.C. In quell’occasione, un rabbino a cui si deve la ricostruzione dell’identità giudaica, ripeterà la stessa frase a chi osservando il tempio in rovina diceva: «“Guai a noi, poiché è stato distrutto il luogo in cui venivano espiate le iniquità di Israele!”. Gli rispose: “Figlio mio, non ti dispiaccia questo. Noi abbiamo uno strumento di espiazione altrettanto efficace”. “E qual è?”. “Sono le opere di misericordia, come sta scritto: Misericordia io voglio e non sacrifici”». L’amore, cioè, ottiene il perdono.
Il fariseo ha fatto di tutto per dare onore al suo ospite, Gesù, ma deve ancora imparare qualcosa dalla peccatrice: quello che gli manca, e che invece la donna ha in abbondanza, è l’amore.