La quarta domenica di Avvento, intitolata «L’ingresso del Messia» ci propone il brano della salita di Gesù a Gerusalemme.
Provenendo da Gerico, Gesù si avvicina a Betfage e Betania, due villaggi poco distanti dalla città e ordina a due suoi discepoli di procurarsi un puledro. Nell’antichità le autorità militari e politiche praticavano confische di beni in caso di bisogno ma, se è vero che Gesù giustifica la sottrazione del puledro con la necessità, non avrebbe però l’autorità per farlo. La spiegazione, che i discepoli devono fornire a chi chiederà conto, inquadra però diversamente la situazione: Colui che si appropria della cavalcatura è «il Signore» che nelle acclamazioni finali della folla sarà proclamato «re».
Sullo sfondo dell’episodio c’è la profezia messianica di Zaccaria 9,9 – «Esulta grandemente, glia di Sion... Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro glio d’asina» – per rispettare la quale l’evangelista inserisce il riferimento al fatto che l’animale non sia mai stato cavalcato, come segno di privilegio del Messia/Re.
Il fatto che i discepoli trovino esattamente come il Maestro ha loro anticipato, dà alla circostanza una coloritura miracolosa, attribuendo a Gesù una capacità di preveggenza che dà credito alla sua autorevolezza di «Signore».
Dunque chi sarà il Messia? Anzitutto uno che ha bisogno di una cavalcatura che non è di guerra – come il cavallo, animale “militare” – ma di fatica, come l’asino o il bue. Un condottiero non entra in città su un asino ma su un destriero e accompagnato da un esercito in tenuta da battaglia. Lui entra con l’asino accompagnato da ciechi guariti, pubblicani, donne, gente comune. Nel gesto dello slegare l’animale c’è un’immagine molto bella del modo di governare di questo «re»: è venuto per sciogliere e liberare, non per dominare e soggiogare. Con una certa teatralità i discepoli cercano poi di imbastire una parata vera e propria improvvisando una sella da cerimonia con i mantelli e organizzando alla bell’e meglio una passatoia d’onore. Colpisce il fatto che Gesù abbia viaggiato fin lì a piedi e certamente senza fare una marcia trionfale, mentre ora che si avvia a vivere i momenti cruciali della sua missione, ecco comparire un apparato scenico che non può che apparire posticcio. L’impressione che permanga una distanza tra ciò che Gesù ha rivelato e quel che i suoi hanno compreso resta molto chiara.
La folla dei discepoli, ormai prossimi all’ingresso in città, prorompe quindi in un grido di giubilo e osanna per le grandi opere che avevano visto compiere. Luca sottolinea come la lode sia rivolta a Dio, benché il protagonista delle acclamazioni sia Gesù riconosciuto come suo inviato. Una forma narrativa per affermare come l’azione di Dio si sia fatta presente in modo concreto e tangibile nelle opere che il Figlio ha compiuto. Attraverso l’acclamazione della gente Luca non esita ad attribuire a Gesù il titolo di «re», ma è chiaro che non si tratta certo di una regalità simile a quelle del mondo.