Il Vangelo di questa domenica è composto di soli tre versetti, tratti dal secondo discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, quello chiamato “discorso missionario”.
Questo discorso nasce dalla compassione di Gesù per la folla che lo seguiva in Galilea e ascoltava la sua predicazione. Si legge infatti poco prima dell’inizio del discorso: «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Matteo 9,35-36).
Diversamente da quanto raccontato in Marco 6,34-44, il Gesù di Matteo non si mette ora a insegnare o a dare il pane, ma invita i suoi a pregare perché Dio invii lavoratori per il suo raccolto. Saranno proprio questi – coloro che il proprietario del campo (Dio stesso) vorrà mandare – a occuparsi del popolo disperso.
Seguono, nel discorso, alcune disposizioni di Gesù circa la missione (che è affidata alla Provvidenza), circa l’atteggiamento da tenere nei villaggi dove i missionari entreranno (l’annuncio della pace, la cura dei malati), e anche la previsione di un rifiuto: «Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole…» (Matteo 10,14). Altri missionari, poi, dice Gesù, verranno addirittura perseguitati.
Nei versetti di questa domenica si tratta ancora dell’accoglienza degli inviati, la cui identità ora è descritta dal Gesù di Matteo in modo simile a quanto dirà più avanti, quando i missionari che Gesù invia saranno definiti «profeti, sapienti e scribi» («io mando a voi profeti, sapienti e scribi»; Matteo 23,34). In questo capitolo decimo del Vangelo, poi, gli inviati sono rappresentanti di Gesù, e dunque rappresentanti di colui che lo ha inviato, ovvero il Padre.
Sono chiamati, anche qui, profeti, come quelli antichi ai quali i discepoli erano già stati paragonati (cf. Matteo 5,12); sono anche giusti, ovvero discepoli che compiono i comandamenti e la Legge di Dio e insegnano agli altri a fare altrettanto.
Tutti questi discepoli sono poi definiti «piccoli», attraverso quella categoria su cui Matteo ritornerà abbondantemente nel discorso ecclesiale del capitolo 18, quando Gesù spiegherà che i «piccoli» nella comunità sono i discepoli fragili, quelli più bisognosi, che possono inciampare se scandalizzati. Insomma, Gesù non invia ad annunciare il Regno persone semplicemente brave e giuste, ma persone toccate esse stesse dalla necessità di essere evangelizzate.
La ricompensa che verrà data a chi accoglie questi «piccoli» è la salvezza eterna, di cui parla Gesù – questa volta nei panni del giudice finale – quando ricorderà a chi ha compiuto quel piccolo gesto che, mentre dava da bere a uno di quei piccoli, dava da bere allo stesso re, allo stesso Signore: «E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Matteo 25,40).