Marco 12,13-17 - Martedì della IX Settimana TO (6 giugno 2023) -
La predicazione di Gesù con il passare del tempo diventa fastidiosa per i potenti della sua epoca. Politici, dottori della legge, responsabili del culto cominciano a percepire Gesù come una minaccia. Non trovano nessun modo lecito per eliminarlo così usano una tecnica vecchia quanto il mondo: indurlo a mettersi contro il potere forte dell’epoca, cioè i Romani. Infatti i Romani sono accondiscendenti su molte questioni, anche in materia religiosa, ma non transigono in quanto a denaro e tasse: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?».
Gesù sa molto bene che questa frase è pronunciata per metterlo in difficoltà, ma egli usa della malizia dei suoi interlocutori per dare una lezione immensa a tutti: “«Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». E rimasero ammirati di lui”. In un mondo come il nostro dominato dal denaro si fa fatica a comprendere ciò che Gesù voglia dire, ma in realtà il ragionamento è semplice: le cose di questo mondo sono sempre di qualcuno, ma ogni persona umana non è possesso di nessuno perché ogni essere umano ha su di sé l’immagine e la somiglia di Dio e non di Cesare. In pratica ha detto che molti possono giocare a fare i padroni, ma ogni uomo e ogni donna sono radicalmente liberi perché nessuno può impossessarsene dicendo “è mio”. Duemila anni fa Gesù aveva già ridotto in frantumi tutte le schiavitù del mondo.
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