Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
domenica 09 febbraio 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

EGHÉIRÔ - ANÍSTÊMI: risorgere, risuscitare

La scelta è questa volta obbligata dal calendario: la solennità di Pasqua ci invita senza esitazione a selezionare, nel mini-vocabolario di parole greche da conoscere, due verbi. Essi cercano di esprimere un evento che è storico e trascendente, presenza e assenza, incontro e mistero. «Se Cristo non è risorto, vuota è la nostra predicazione e vuota è anche la nostra fede». Le parole lapidarie di san Paolo ai cristiani di Corinto (I, 15,14) esprimono in modo netto la centralità della Pasqua nella fede cristiana.

Tutto inizia in quell’alba primaverile quando alle donne venute a venerare un cadavere si presenta un’epifania angelica con un messaggio: «È risorto, non è qui!». È la proclamazione che si ripeterà nei secoli e che sarà la sostanza del messaggio cristiano, della liturgia, della pietà, della teologia, dell’arte cristiana. Cristo non è un eroe che muore ma è il Vivente per eccellenza: egli è, sì, pienamente partecipe della nostra umanità nella morte, ma è sempre il Figlio del Dio vivo e la risurrezione lo attesta.

Come dicevamo, due sono i verbi greci usati dal Nuovo Testamento per definire l’evento pasquale. Il primo è eghéirô, letteralmente «risvegliare» dal sonno della morte a opera del Padre, un termine scandito ben 144 volte negli scritti sacri cristiani. Come è evidente, si ricorre a un simbolo comune, quello che raffigura la morte come un sonno e la vita come uno stato di veglia (si pensi alla preghiera Requiem aeternam che implora un «riposo eterno» ai defunti). Nel verbo dell’annunzio pasquale – eghérthê, «è risorto» (Marco 16, 6) – si potrebbe intravedere la celebre visione del capitolo 37 di Ezechiele, ove lo Spirito di Dio infonde vita agli scheletri di un’immensa valle, rimettendoli in azione e in cammino.

C’è, però, un altro verbo greco usato per definire la risurrezione ed è anístêmi, usato 107 volte nel Nuovo Testamento. Esso indica il «levarsi in piedi», quasi un innalzarsi possente dal sepolcro e dalla terra verso il cielo, segno della divinità gloriosa: chi non ricorda la possente fisicità del Cristo risorto dipinto nel 1463 da Piero della Francesca nella sala dell’antico palazzo comunale del suo paese natale, Borgo Sansepolcro (Arezzo)? Proprio sulla scia di questi due verbi si può individuare nel Nuovo Testamento una duplice descrizione della Pasqua di Cristo. Essa è un modo per illustrare il mistero che in quell’evento si cela, una realtà che non è meramente riducibile alla rianimazione di un cadavere, come quello di Lazzaro o del figlio della vedova di Nain o della figlia del capo della sinagoga di Cafarnao, destinati tutti a morire di nuovo.

Con la risurrezione-«risveglio» si vuole sottolineare che Cristo esce dal grembo della morte e ritorna alla vita, a una presenza efficace nella storia: non per nulla nelle apparizioni si insisterà sulla verificabilità della realtà del Risorto che si fa toccare, parla, incontra i discepoli e mangia. Si rifiuta esplicitamente di concepire Cristo come uno spettro evocato magicamente: «Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma… Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Luca 24,37.39).

Con la risurrezione-«innalzamento» si vuole invece sottolineare che la Pasquaè un evento che trascende il tempo e lo spazio. Il Risorto è il principio della liberazione dal male e dalla morte, è il Signore glorioso, il Figlio di Dio verso il quale converge l’intera umanità per trovare salvezza, risurrezione e vita eterna. Per questo, accanto al verbo anístêmi, «levarsi», si usa quello più esplicito, hypsoún, «innalzare»: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me… Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono» (Giovanni 12,32; 8,28). E «Io sono» nella Bibbia è il nome stesso di Dio («Io sono colui che sono», Esodo 3,14). E, quando si celebrerà la solennità dell’Ascensione del Cristo risorto, cercheremo proprio di illustrare quest’altro verbo pasquale.

 


14 aprile 2022

 
Pubblicità
Edicola San Paolo