Siamo nelle mani buone del bel pastore
Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono Giovanni 10,27
La quarta domenica di Pasqua è la festa del Buon Pastore e la pagina del Vangelo di Giovanni ci offre l’ultima parte del discorso di Gesù che presenta sé stesso come il pastore esemplare che dà la vita per i suoi discepoli. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Si parla di voce e di ascolto, e quindi si viene a celebrare indirettamente l’importanza del silenzio. Senza silenzio non ci può essere ascolto. Ascoltare non significa infatti semplicemente udire, ma avere quell’interiore attenzione che è propria di colui che vuole aprirsi all’altro.
In una società come la nostra dove ciascuno è aggredito dalla invadenza della chiacchiera e sommerso dal flusso ininterrotto delle immagini pubblicitarie e dal rumore dei social, rimane poco spazio per il silenzio e per l’ascolto in solitudine. Va detto inoltre che il silenzio, se necessario per ascoltare la parola, è ancora più indispensabile per percepire la voce che è sempre prima della parola. La voce è infatti il timbro, la vibrazione, la tonalità della parola.
La voce di cui parla il Vangelo comunica il battito del cuore di Gesù. Come è possibile ascoltarla se si è immersi in un mondo di rumore che obbliga a vivere nella dimensione dell’esteriorità, assenti cioè a sé stessi e agli altri? Gesù dice poi che egli conosce le sue pecore. Il verbo “conoscere” nel linguaggio biblico esprime un rapporto di intimità e condivisione. La bellezza del Pastore sta nell’amore con cui consegna sé stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore. Questo significa che l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da lui, consegnandogli il proprio cuore perché lo inondi della sua presenza, e corrispondendo all’amore così ricevuto con l’amore che Gesù stesso ci rende capaci di avere.
Allora ci si apre all’ascolto e l’ascolto diventa docilità: «Ed esse mi seguono ». Chi ascolta la voce, si rende interiormente docile alla voce. Diceva Bernanos: «È sorprendente come le mie idee cambiano quando prego». Quando nella preghiera ci si lascia conoscere dal Signore e si gode di trovarsi sotto il suo sguardo, ci si arrende al suo amore: si è pronti a non più difendere ostinatamente le proprie scelte, ma a muoversi sotto la sua guida discreta e premurosa. Il vero discepolo è colui che “segue” il suo Pastore, guida e compagno di viaggio durante l’itinerario terrestre. Si celebra così l’amore salvante del Cristo, un amore che conquista il fedele alla sfera stessa di Dio: infatti la “vita eterna” per Giovanni è sinonimo di “vita divina”, comunione di vita, di pace, di essere con Dio stesso, quindi di partecipazione alla stessa esistenza del Pastore.
Nessuna forza è più potente di Dio, nessun male, nessuna tempesta può strapparci da questa comunione di vita con Dio. Chi è in rapporto di intimità con il Cristo lo è infatti anche con il Padre perché «Io ed il Padre siamo uno». La nostra vita, ci ricorda dunque questa pagina di Vangelo, è qualcosa di immenso per il cuore di Dio da cui siamo usciti e a cui facciamo ritorno.