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domenica 18 maggio 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

IV DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA (ANNO C) 11 MAGGIO 2025

Siamo nelle mani buone del bel pastore

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono Giovanni 10,27

 

La quarta domenica di Pasqua è la festa del Buon Pastore e la pagina del Vangelo di Giovanni ci offre l’ultima parte del discorso di Gesù che presenta sé stesso come il pastore esemplare che dà la vita per i suoi discepoli. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Si parla di voce e di ascolto, e quindi si viene a celebrare indirettamente l’importanza del silenzio. Senza silenzio non ci può essere ascolto. Ascoltare non significa infatti semplicemente udire, ma avere quell’interiore attenzione che è propria di colui che vuole aprirsi all’altro.

In una società come la nostra dove ciascuno è aggredito dalla invadenza della chiacchiera e sommerso dal flusso ininterrotto delle immagini pubblicitarie e dal rumore dei social, rimane poco spazio per il silenzio e per l’ascolto in solitudine. Va detto inoltre che il silenzio, se necessario per ascoltare la parola, è ancora più indispensabile per percepire la voce che è sempre prima della parola. La voce è infatti il timbro, la vibrazione, la tonalità della parola.

La voce di cui parla il Vangelo comunica il battito del cuore di Gesù. Come è possibile ascoltarla se si è immersi in un mondo di rumore che obbliga a vivere nella dimensione dell’esteriorità, assenti cioè a sé stessi e agli altri? Gesù dice poi che egli conosce le sue pecore. Il verbo “conoscere” nel linguaggio biblico esprime un rapporto di intimità e condivisione. La bellezza del Pastore sta nell’amore con cui consegna sé stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore. Questo significa che l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da lui, consegnandogli il proprio cuore perché lo inondi della sua presenza, e corrispondendo all’amore così ricevuto con l’amore che Gesù stesso ci rende capaci di avere.

Allora ci si apre all’ascolto e l’ascolto diventa docilità: «Ed esse mi seguono ». Chi ascolta la voce, si rende interiormente docile alla voce. Diceva Bernanos: «È sorprendente come le mie idee cambiano quando prego». Quando nella preghiera ci si lascia conoscere dal Signore e si gode di trovarsi sotto il suo sguardo, ci si arrende al suo amore: si è pronti a non più difendere ostinatamente le proprie scelte, ma a muoversi sotto la sua guida discreta e premurosa. Il vero discepolo è colui che “segue” il suo Pastore, guida e compagno di viaggio durante l’itinerario terrestre. Si celebra così l’amore salvante del Cristo, un amore che conquista il fedele alla sfera stessa di Dio: infatti la “vita eterna” per Giovanni è sinonimo di “vita divina”, comunione di vita, di pace, di essere con Dio stesso, quindi di partecipazione alla stessa esistenza del Pastore.

Nessuna forza è più potente di Dio, nessun male, nessuna tempesta può strapparci da questa comunione di vita con Dio. Chi è in rapporto di intimità con il Cristo lo è infatti anche con il Padre perché «Io ed il Padre siamo uno». La nostra vita, ci ricorda dunque questa pagina di Vangelo, è qualcosa di immenso per il cuore di Dio da cui siamo usciti e a cui facciamo ritorno.


08 maggio 2025

 
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