A metà del cammino di Avvento la liturgia ambrosiana proclama la pagina dell’“ingresso messianico” di Gesù a Gerusalemme, che nel Rito romano invece si legge esclusivamente la Domenica delle Palme. È l’occasione per comprendere meglio quella che potremmo chiamare una delle varie epifanie (manifestazioni) del Signore. Se la più nota è quella del Tabor, nella luce della Trasgurazione, e se tra poche settimane si rileggeranno quelle del bambino che viene mostrato ai sapienti dell’Oriente, i magi, e ai pastori, oggi Gesù si presenta al cuore del giudaismo del suo tempo, Gerusalemme.
Gesù è presentato in questa pagina anzitutto come un pellegrino, e lo si deduce dalla frase «Benedetto colui che viene» che si trova nel Salmo 118 e che signi- ca, anche nell’ebraico moderno, “Benvenuto”. Poteva ben essere il saluto ai pellegrini che avevano compiuto un lungo viaggio da tutte le parti di Israele per arrivare nel Tempio della città santa. Per Marco, ovviamente, è anche il modo di presentare il Messia che prende possesso della sua città, anche perché il Salmo veniva letto dai rabbini in relazione a Davide, l’antenato di Gesù, il re di Gerusalemme. Ma Gesù non è un monarca potente che occupa una città dopo averla assediata: è ritratto invece come un Messia umile. Nella legge militare del tempo, in caso di guerra, vigeva il diritto di angaréia, ovvero di appropriarsi di una cavalcatura e di non restituirla: Gesù si preoccupa di non compiere nemmeno la più piccola violenza e chiede insistentemente che quell’asino venga riportato al proprietario.
L’asino, al tempo di Gesù, era la cavalcatura dei sovrani, ma qui potrebbe esservi anche un richiamo a un animale molto speciale, quello di Abramo, che secondo una lettura rabbinica avrebbe atteso il Messia proprio sul Monte degli ulivi. L’interpretazione traeva senso dalla conclusione della pagina del sacrificio – o meglio, secondo la lettura giudaica – della “legatura di Isacco” (Genesi 22), allorquando si dice che Abramo ritornò a Betsabea coi suoi servi (22,19), e non si parla dell’asino che l’aveva accompagnato. Alcuni rabbini immaginavano che l’animale avrebbe accolto umilmente il Messia proprio lì dove Abramo l’aveva lasciato, sul monte Moria, che verrà poi identicato col luogo su cui sarebbe sorto il futuro Tempio di Gerusalemme (2Cronache 3,1).
Gesù entra finalmente nel Tempio e – diversamente da quanto scritto negli altri Vangeli (Matteo 21,12; Luca 19,45) – osserva e attende prima di compiere il gesto profetico della “puricazione”. Torna a Betania, da dove era appena partito, e avrà anch’egli ri¢ettuto su cosa aveva visto e che non andava bene, e su cosa fare. Solo la mattina seguente caccerà i mercanti dal tempio, attirandosi le ostilità di una parte della società religiosa del tempo. Il Messia umile deve essere seguito non solo nei momenti di gloria, ma anche, e soprattutto, come è scritto nella Liturgia della Domenica delle Palme del Rito romano, «no alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione».