Caro don Stefano, abbiamo assistito in Tv alle due puntate del film di Sergio Rubini Leopardi, il poeta dell’infinito.
Un film che ci restituisce un ritratto del poeta marchigiano più conforme alla sensibilità delle nuove generazioni: «Piuttosto che lo studioso curvo sui libri» – ha commentato il regista – «il nostro Leopardi avrà il piglio di un esuberante “enfant prodige” che desidera divorare il mondo e viverne appieno ogni sfaccettatura».
Sono convinto che quella di Rubini non è solo una scelta interpretativa, ma corrisponda ad attendibilità psicologica. Un giovane interiormente dotato com’era Leopardi non poteva non essere diverso da come lo presenta lui: impulsivo, affettuoso, fiducioso, progettuale…
Il pessimismo cosmico e metafisico del poeta recanatese non deriva tanto dalla deformazione fisica (procurata da uno studio “matto e disperatissimo”), ma da una logica inesorabile che lo conduce alla demolizione sistematica delle illusioni giovanili (“gli ameni inganni”, “i possenti errori”), fino ad ammettere: «Per me la vita è male… È funesto a chi nasce il dì natale».
Il nucleo centrale del pessimismo leopardiano deve essere attribuito allo straordinario coraggio deduttivo di una razionalità implacabile, condizionata dalla sua fragilità fi sica e dalle malattie. Ma l’intelletto di una persona è collegato alla sua sfera emotiva. Le vicissitudini dolorose dell’esistenza conducono alcuni alla perdita dello slancio vitale, mentre altri ricevono, per bilanciamento, una prodigiosa forza propulsiva.
Ogni uomo è qualcosa d’imprevedibile. Ma alla fine del film, in me, rimane una nostalgica domanda. Giacomo mio, perché? Hai avuto il coraggio di indagare ma non quello di volare. Ma non è detto. Molte elaborazioni del dramma umano avvengono nel sacrario della coscienza.
LUCIANO VERDONE
Caro Luciano, la tua attenta analisi della vita di Giacomo Leopardi ci consente di fare utili riflessioni anche sull’importanza dell’ambiente familiare per la crescita dei figli e la formazione del loro carattere. Un’educazione rigida, che non tiene conto delle reali inclinazioni dei figli e dei loro bisogni emotivi, fatta più di precetti e poco di ascolto, può creare delle ferite profonde nell’animo, che si trasformano in visioni pessimistiche dell’esistenza.
E non tutti possiedono il genio e il talento che aveva Leopardi per elevarle in poesia immortale e conservare comunque un anelito all’assoluto, che emerge dalle sue liriche e dalle sue opere filosofiche. Al di là del suo immenso sapere e della sua profonda sensibilità, quello che più di ogni altra cosa ha alimentato la sua breve vita è il bisogno di amare e di essere amato. E poco contano la malattia e la deformità in questa sua struggente infelicità, quanto piuttosto quel suo non essere stato visto realmente per quello che era. Un grande insegnamento per noi, oggi.