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sabato 14 settembre 2024
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

L’uomo è ciò che mangia?

Sul numero del 12 novembre 1850 di una rivista letteraria tedesca il filosofo Ludwig Feuerbach pubblicava una frase che sarebbe diventata un motto a prima vista scandaloso: «L’uomo è ciò che mangia ». In tedesco, poi, la frase era suggestiva per l’assonanza: «Der Mensch ist (“è”) war er isst (“mangia”). In realtà, questa affermazione, al di là della sua brutalità materialista,contiene una verità umana significativa. Infatti, il cibo in tutte le civiltà è un grande simbolo di comunione tra le persone.

Attraverso esso si comunica agli altri la gioia e il lutto, l’amore e persino l’odio (si pensi agli avvelenamenti). Anche ai nostri giorni le nascite e le nozze sono celebrate con banchetti festosi; solennità, ricevimenti, convegni sfociano in cene di gala, così come si consumano pranzi di lavoro e, in molte culture, si accompagna la perdita di persone care con pasti funebri. Ora, poi, sono diventate quasi un’ossessione le infinite trasmissioni televisive di gastronomia o di masterchef… Non per nulla uno dei più famosi cultori del fenomeno sociale del cibo, il magistrato ottocentesco Anthelme Brillet-Savarin, osservava che «gli animali si nutrono, l’uomo mangia, il saggio pranza».

È da notare che l’èra messianica nella Bibbia è raffigurata sotto l’immagine festosa di «un banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Isaia 25,6). Nel rituale del tempio di Gerusalemme era contemplato «il sacrificio di comunione (o pace)» che comprendeva il pranzo con alcune carni della vittima immolata. Cristo stesso – che amava sedersi a mensa non sempre in buona compagnia (pubblicani, peccatori, prostitute) così da correre il rischio di essere bollato come «un mangione e un beone» (Matteo 11,19) – ha affidato al segno del pane e del vino dell’Eucaristia la sua presenza permanente in mezzo a noi, e nelle sue parabole non esitava a sceneggiare banchetti, soprattutto nuziali.

In sintesi, dobbiamo riconoscere che il cibarsi non è solo un atto fisiologico ma anche un gesto simbolico e, in questa linea, lo spreco alimentare di fronte a una folla di affamati che popolano tante terre non è solo una questione economica ma anche un peccato e un atto infame. Siamo, infatti, coinvolti in un meccanismo perverso dominato dal consumismo. Aveva ragione il filosofo tedesco Erich Fromm  quando nella sua opera più nota, L’arte di amare (1956), definiva così la felicità dell’uomo moderno: «Guardare le vetrine e comprare tutto quello che può permettersi, in contanti o a rate».
Per questa via noi stiamo passando dal nutrirci, che è una sorta di virtù necessaria, all’area più oscura di un vizio capitale, emblematicamente rappresentato dalla gola. È curioso notare che nell’ebraico biblico nefesh significa sia «gola» sia «anima». Lo si  intuisce nell’avvio di un celebre Salmo, il 42: «Come il cervo anela ai corsi d’acqua, così la mia nefesh (gola/anima) anela a te, o Dio. La mia nefesh ha sete del Dio vivente». Come dicevamo, il cibo e la bevanda sono un segno di amore e di fede, ma possono essere la base del vizio dell’avidità golosa. E questo profilo negativo del cibo sarà oggetto della nostra prossima puntata del viaggio all’interno dei vizi capitali.


18 maggio 2023

 
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