Nella traduzione greca il termine corrisponde al nostro Cristo. Nella Bibbia è usato per tre categorie di persone: i re, i sacerdoti, i profeti. Gesù assume in sé tutte e tre queste dimensioni
Chi non conosce la parola «Messia »? Eppure non tutti sanno che si tratta della semplice trascrizione in italiano di un aggettivo/sostantivo ebraico, mashiah (l’h nale si pronuncia aspirata), che significa letteralmente «unto» con l’olio sacro, quindi «consacrato », e che risuona 39 volte nell’Antico Testamento. Molti ignorano che la traduzione greca di questo termine è Christós, che ha generato il nostro «Cristo ». Tre sono le categorie di persone alle quali si assegnava questo titolo.
Innanzitutto il re, come è accaduto per Davide: «Io farò germogliare una potenza per Davide, preparerò una lampada per lui mio consacrato (mashiah) » (Salmo 132,17). Persino il re persiano Ciro, che permetterà agli Ebrei esuli a Babilonia di ritornare nella loro patria, riceverà questo titolo nel libro del profeta Isaia: «Dice il Signore del suo mashiah, di Ciro: Io l’ho preso per la mano destra» (45,1; la versione biblica della Conferenza episcopale italiana ha cercato di attenuare questa formula, traducendo: «Dice il Signore del suo eletto, di Ciro»).
La parola è attribuita naturalmente anche ai sacerdoti, come si legge nel libro biblico a loro dedicato, il Levitico, quando sono rappresentati nella loro funzione di ministri del culto sacricale: «Il sacerdote consacrato (mashiah) prenderà un po’ del sangue del giovenco e lo porterà all’interno della tenda» santa (4,5). Suggestiva è l’immagine del sommo sacerdote tracciata dal salmista: «L’olio prezioso è versato sul suo capo e scende sulla barba di Aronne, scende no sull’orlo della sua veste» (Salmo 133,2).
Consacrato (mashiah) è, infine, il profeta, anche se non attraverso un rito, come nel caso del sacerdote o del sovrano. Signicativa, al riguardo, è la dichiarazione autobiograca che si legge nel libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione » (61,1). Gesù, leggendo pubblicamente questo passo durante il culto del sabato nella sinagoga di Nazaret, lo applicherà a sé stesso: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato » (si legga Luca 4,16-20).
Possiamo però dire che l’attribuzione a Cristo del titolo di Messia coinvolge tutte e tre le dimensioni che abbiamo finora descritto. Egli è appunto profeta, come afferma davanti ai suoi concittadini, prima stupiti e poi sdegnati. È però anche re: non per nulla il cuore della sua predicazione è l’annuncio del Regno di Dio nel quale egli espleta una funzione capitale, quella di giudice. Il rimando necessario è alla mirabile scena del giudizio finale tratteggiata da Matteo (25,31-46), il cui avvio è incisivo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria… Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra…», cioè i giusti che hanno esercitato il comandamento dell’amore.
Infine, Cristo è celebrato come sacerdote soprattutto nella lunga e solenne omelia neotestamentaria nota come Lettera agli Ebrei: «Gesù è divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedek… Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli» (6,20; 8,1). Ed è nella linea del Messia davidico Cristo che, nel battesimo, anche i cristiani sono consacrati re, sacerdoti e profeti: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (1Pietro 2,9).