Caro direttore, una ricerca di alcuni studiosi dell’Università texana di Austin sostiene che la socializzazione, per le persone anziane, favorisce il benessere mentale. A margine di tale autorevole conclusione, credo che non ci voglia granché per affermare che la mancata socializzazione sia deleteria anche per i giovani. Anche i giovani oggi sono più soli rispetto a un tempo, nonostante si creda che il forsennato ricorso al web da parte loro, sia il giusto mezzo per una proficua connessione con il prossimo. No, perché la socializzazione non è solo digitare tasti e connettersi telematicamente con il resto del mondo, ma è anche scambiarsi voci, sguardi, palpiti, gesti, emozioni, sorrisi. Tornando alla enunciazione iniziale, è comprensibile come, per gli anziani, il socializzare sia medicamento vitale alla loro salute mentale: vivono meglio e più a lungo. A una certa età la vita si allontana, si restringe, si raggrinzisce e all’anziano mancano i contesti affettivi come l’abbraccio di un bimbo e la carezza di un adulto. E qui la solitudine, come scriveva Nabokov, diventa «il campo da gioco di Satana» o «una cella intollerabile», come la definì Pavese.
Gli anziani, più dei giovani che hanno nel dna il vigore della giovinezza, hanno bisogno di interagire con il prossimo. La loro fragilità fisica e la stanchezza di vita che li pervade si contrastano con incontri, scambi di opinione, occasioni ludiche, forme associative. Non è un obiettivo facile da realizzarsi, anche per l’eterna supremazia, nell’essere umano, dell’Io sul Noi. Ma è l’unico rimedio perché la solitudine non diventi una morte in vita. EDGARDO GRILLO
Caro Edgardo, quello che dici è vero, e il Papa lo dice spesso parlando degli anziani e dei giovani. Sta a tutti noi di favorire, per quanto ci è possibile, occasioni di incontro e scambio combattendo la naturale tendenza a un individualismo che vuole separarci dal destino di chi ci vive accanto