Per conoscere Dio bisogna conoscere Gesù
«Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono».Matteo 2,10-11
Epifania” è una splendida parola greca che abbiamo conservato dall’antichità e, purtroppo, perché non ben capita, è stata fatta diventare “befana”; e il linguaggio corrente, aiutato dal mondo del commercio, ha trasformato la festa dell’Epifania nel giorno della Befana. La solennità dell’Epifania ci ricorda l’intelligenza della nostra fede: “Epifania” vuol dire che il Signore «si è fatto conoscere», «si è manifestato». Il Signore invisibile si è fatto vedere da noi, noi lo abbiamo riconosciuto e questo riempie di gioia.
Il profeta Isaia (60,1-6), nella prima lettura, si rivolge alla città di Gerusalemme distrutta dai nemici, ridotta a un ammasso di rovine: sa vedere oltre le tenebre del momento presente e invita quel povero rudere ad alzarsi e a rivestirsi di luce, perché viene la luce vera che è il Signore. Gerusalemme è figura della Chiesa, della comunità di Dio, che nel tempo della storia è spesso oppressa e si trova in situazioni difficili. A noi, adesso, nelle tenebre di questo tempo, il profeta a nome di Dio rivolge lo stesso invito: «Alzati, rivestiti di luce, accogli la luce del Signore che risplende sopra di te». Il Signore è la nostra luce, il Signore è presente nella nostra vita, proprio nelle tenebre dei nostri giorni è lui che rivela il senso della nostra vita.
L’antico profeta parla il linguaggio del suo tempo e immagina carovane di cammelli e di dromedari, carichi dei doni più preziosi che arriveranno a Gerusalemme. Quello che adesso è un borgo sperduto e fatiscente – dice il profeta – in futuro sarà il centro del mondo, perché di lì uscirà la luce. Questa profezia si è compiuta con la rivelazione di Gesù Cristo. Tutto è partito da Gerusalemme: Dio si è fatto conoscere in quel bambino, in quell’uomo, in quella vita, in quella parola e noi abbiamo accolto la sua luce.
Nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini (3,2-3.5-6), l’apostolo dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera.
Il racconto dei Magi, narrato da Matteo nel Vangelo (2,1-12), ci indica che è fondamentale sulla via che porta a Dio lo stupore, per cui una stella non rimane immobile nel cielo ma si mette ad ammiccare e a tracciare un cammino. Essi videro il bambino, si inginocchiarono, adorarono, offrirono doni. Donavano oro, incenso, mirra, ma soprattutto donavano le ore di marcia, gli ostacoli affrontati, i deserti attraversati, le distanze superate.
Donavano il loro cammino. Essi che erano sedentari per professione avrebbero potuto accontentarsi di credere e di adorare a distanza. Ma a questo modo come avrebbero potuto dimostrare la loro fede amante? La fede non è qualcosa di diverso dall’amore e l’amore non è separabile dall’umiltà. Si comprende il gesto di donare e di prostrarsi. Per incontrare Dio bisogna incontrare Gesù. E per incontrare Gesù bisogna farsi piccoli come lui.