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martedì 20 maggio 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

VI Domenica di Pasqua (Anno B ) 9 maggio 2021

La bellezza tragica di una fede plurale

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone». Giovanni 15,9-17

 

Ogni volta che mi rincontro con questo verso di Giovanni mi torna sempre più forte un pensiero che si fa via via convinzione: abbiamo perso contatto con la forza profetica e rivoluzionaria di quel comandamento di Gesù.

Il suo mondo era pieno di precetti e comandamenti della Legge, e nella sua generazione forte era la condizione che la salvezza e l’esser giusto potessero essere guadagnati osservando i comandamenti e le opere delle Legge. Gesù conosceva molto bene la tradizione di Israele, sapeva l’importanza infinita di quel patrimonio di rivelazione divina e di sapienza umana. Ci aveva poi raccontato altre leggi, dalle beatitudini alle opere di misericordia, parole nuove, nuovissime, inedite.

Ma quando ha voluto dirci nell’ultimo Evangelo un solo comandamento, suo e nuovo, talmente importante da ripeterlo due volte nel giro di pochi versi, ci dona un comandamento tutto umano. Ci aveva parlato molto, moltissimo di Dio, del Padre, dello Spirito Santo; eppure, nel rinchiudere in un solo comando tutta la Legge e i profeti, sceglie una parola che parla solo di esseri umani, che parla solo di noi.

Quel verbo, quella seconda Persona della Trinità, quel Logos diventando carne era diventato talmente umano da arrivare a donarci una nuova legge tutta umana, tutta carne e sangue: «Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi». Nella sintesi delle sintesi non troviamo Dio, né lo Spirito, né gli angeli; no, troviamo solo noi stessi. Trovo me, trovi te, troviamo tutti gli uomini e le donne di ieri, di oggi, di sempre.

Sta in questo comandamento dell’amore reciproco la radice dell’antropologia cristiana, la più bella definizione di cosa sia la persona. Innanzitutto è un comandamento declinato al plurale: amatevi. La regola aurea usa il singolare: ama il prossimo tuo come te stesso. Il comandamento nuovo invece ci vede insieme già dall’inizio. Vede l’io ma lo pronuncia dentro un “noi”, vede il tu dentro un “voi”. Il verbo divenuto carne è divenuto un verbo plurale. Venendo dalla Trinità, Gesù, divin emigrante, non poteva dirci una parola sintesi che non fosse un rapporto: amatevi. La persona è questo mistero che sussiste in sé stessa ma per sussistere veramente ha bisogno di un verbo pronunciato al plurale. Per essere umani occorre essere almeno in due.

NELLA RECIPROCITÀ.

 

Quel comandamento nuovo è tutto nostro. Veramente il cristianesimo è umanesimo. Che non ci comanda di recarci al tempio, neanche di pregare. Ci dice solo di amarci nella reciprocità. E ogni volta che rinasce la Chiesa, rinascerà da due esseri umani che si amano scambievolmente.

Ma se il comandamento più caro a Gesù è un comando di reciprocità, allora il cristiano non è autonomo nella pratica della sua fede: ha bisogno di almeno un altro, un’altra, che viva lo stesso comando di reciprocità. Come cristiani siamo nelle mani degli altri, di almeno un altro. Posso convertimi al Vangelo, posso iniziare ad amare Dio e il prossimo: ma finché non trovo qualcuno che mi riama il comandamento nuovo non è adempiuto. Io sono davvero tu che mi fai. Sta qui la bellezza e la tragicità della fede cristiana.


06 maggio 2021

 
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