Una delle parabole più signicative del Nuovo Testamento è sicuramente quella del seminatore e del seme che cade sui diversi terreni, potremmo denirla la parabola “fondamentale” del Vangelo che la liturgia ci ore in questa domenica. Ce ne sono altre che utilizzano la stessa immagine, prendendo spunto da qualcosa di molto familiare agli ascoltatori del tempo, cioè la semina, il raccolto più o meno abbondante, e la possibilità che possa spuntare anche l’erba cattiva.
Gesù utilizza questa immagine per descrivere anzitutto la dinamica del Regno che lui stesso sta annunciando, cioè che da qualcosa di piccolo e di poco visibile, verrà qualcosa di grande e di sorprendente, ma bisogna avere pazienza e saper aspettare il tempo opportuno. In questa parabola potremmo dire che c’è anche qualcosa di autobiograco, cioè il seminatore è Gesù stesso che, come spiega ai suoi discepoli, getta il buon seme della parola del Regno, nel cuore dei suoi ascoltatori. Il punto chiave però è la sorte di quel piccolo seme quando incontra il terreno, cioè il cuore dell’uomo.
Il Vangelo descrive diversi tipi di terreno e dunque il diverso atteggiamento con cui viene accolta la parola del Signore e questo ci indica un altro elemento molto importante, cioè che la libertà e la responsabilità dell’uomo sono decisivi perché il seme porti frutto. Eppure guardando ai diversi terreni, scopriamo che uno solo su quattro è terra buona, ma il seminatore sembra non curarsene, cioè apparentemente “spreca” il seme pur sapendo che una buona parte andrà perduta. In realtà si tratta della ducia del seminatore, che con abbondanza getta nella terra il buon seme: il Signore continuamente rinnova la sua ducia e getta nel nostro cuore la sua parola, anche quando siamo poco disponibili e distanti.
Il profeta Isaia mette in evidenza nella lettura di oggi proprio questo rischio, cioè rimprovera al popolo di Israele l’indisponibilità agli appelli di Dio: «Ho chiamato e non avete risposto, ho parlato e non avete udito. Avete fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco l’avete scelto». Dunque la disobbedienza a Dio e la poca disponibilità alla sua parola è storia vecchia, e tuttavia il Signore non rinuncia a seminare, anche sulla strada, in mezzo ai rovi o su un terreno poco profondo. Questi terreni siamo noi dunque, sono il nostro cuore.
Attenzione però: non l’uno o l’altro ma tutti insieme, cioè a volte permettiamo al nemico di rubare la parola seminata in noi, altre volte siamo incostanti e altre volte ancora ci lasciamo prendere dalle preoccupazioni e lasciandoci trascinare da ciò che non conta, così il seme non porta frutto. Ma c’è anche il terreno buono: per grazia dunque e per la pazienza del seminatore, possiamo sperare che la parola seminata in noi, possa portare anche nella nostra vita frutti di bene e di pace. Saremo disposti a metterci davvero in ascolto? Saremo capaci di rispondere? Una certezza ci sostiene: il seminatore non smetterà di raggiungere il nostro cuore e di riprovare ogni volta, con pazienza e ducia instancabili.