C'è qualcosa più grande del riposo
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Marco 6,30-34
La predicazione del Vangelo può anche nascere dall’amore, dalla compassione, dalla pietà per una umanità bisognosa di salvezza. Questa sembra essere la spiegazione dell’episodio del Vangelo di Marco, quando Gesù, dopo aver tentato di prendersi un poco di riposo con i suoi apostoli, «in un luogo deserto, in disparte, da soli», appena si accorge che la folla li aveva preceduti e lo aspettavano, rinuncia al legittimo e necessario riposo e ricomincia a insegnare loro «molte cose».
La Chiesa è andata avanti in questi secoli anche perché i cristiani, i missionari e le missionarie, i sacerdoti, le comunità, spesso hanno rinunciato ai propri programmi, anche ai necessari e legittimi programmi di riposo, e, mossi dalla pietas per la loro gente, hanno continuato ad annunciare il Vangelo a casa o “in vacanza”. La pietas per la nostra gente non va in vacanza. Il dolore non va in vacanza, neanche le malattie, e non va in vacanza il bisogno di salvezza, che è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, anche se non è scritto in nessuna carta costituzionale.
Ed ecco allora questo episodio del Vangelo di oggi che ci ricorda due dimensioni della vita cristiana, e non solo di questa. Da una parte anche Gesù sente una certa stanchezza (stancarsi fa parte di quella condizione umana condivisa anche da lui). Quindi riposare, prendere dei momenti di stacco dall’attività ordinaria, non è fuori dalla volontà di Dio, non è un decadere da una condizione spirituale ed etica più alta (lavorare, predicare, annunciare) per assecondare l’uomo naturale con i suoi bisogni più bassi. No, è buono anche il desiderio e l’esperienza del riposo, soprattutto quando arriva dopo un’intensa attività a servizio di una missione.
CAMBIO DI PROGRAMMA.
Ma questo brano ci dice anche una seconda verità. Una volta che riconosciamo che riposare è buono e necessario, se arrivati nel luogo in disparte ci accorgiamo che una folla ci aspetta per ascoltare le nostre parole, per ricevere l’annuncio del Vangelo, questa seconda realtà supera la prima. Gesù e gli apostoli (diversamente da come facciamo spesso noi), non dissero alla folla: «Scusate, siamo qui per un meritato momento di riposo o di “ritiro”; lasciateci riposare, tornate tra qualche settimana». No, cambiarono programma, misero da parte il riposo e si misero a svolgere il loro ministero di annunciatori della parola.
Se giunto l’agognato riposo la vita ci fa cambiare programma – una malattia, un incontro, un imprevisto, un amico che ha bisogno eccetera – occorre saper rimandare il riposo a un altro momento (come forse fecero gli apostoli, non fosse altro per “mangiare”) e iniziare ad annunciare «molte cose».
Chissà quali furono queste “cose” insegnate nel tempo che doveva essere dedicato al riposo?! Forse cose e parole bellissime, alcune magari furono raccolte e sono arrivate fino a noi. Perché quando si rinuncia a qualcosa di buono e giusto per pietà e amore verso la nostra gente, e lì che fioriscono le parole più belle, le parole donate, quelle che non ci dovevano essere e che invece sono arrivate per la nostra generosa gratuità.