Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Matteo 14,13-21
«Avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte ». Il profeta è stato ucciso barbaramente durante un banchetto grottesco, per soddisfare le voglie di una danzatrice adolescente. Ma se la profezia viene messa a tacere allora inizia la realtà, perché la profezia, se è vera, si compie.
La metabolizzazione della notizia della morte del Battista richiede la solitudine di un deserto, è bene cercare un luogo fuori portata. Ma in questo spazio Gesù trova tanta gente povera e malata. Il vuoto creato dalla fine della profezia diventa allora lo spazio della compassione. Questo è più importante di quanto possa apparire a prima vista: se la profezia non prelude all’amore, che profezia è? Non è secondo lo Spirito ma un vaticinio vuoto.
E come ragiona la compassione? «Egli vide una grande folla, sentì compassione per loro»: si parte dallo sguardo. Ci vogliono occhi per vedere. Come quando si cambia canale perché vanno in onda immagini di dolore, di fame e di malattia, e non si regge, si fa zapping, per paura di essere “presi”; o come quando si cambia discorso per non pensare troppo a qualcosa che scardinerebbe il nostro assetto, che ci metterebbe troppo in discussione. Reggere, invece, lo sguardo e continuare il discorso, perché la compassione è lì che ci aspetta, che mendica i nostri neuroni, che deve essere, in fondo, solo accolta, innescata, assecondata.
I discepoli non hanno questo sguardo, vedono altro: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Va bene la compassione, ma ad impossibilia nemo tenetur, anzi, in stato di necessità, continua il latinorum della razionalità romana, Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem – la necessità non sottostà alla legge perché è lei stessa legge. C’è poco da decidere, è necessario e quindi già deciso: che la gente si vada a cercare da mangiare. I discepoli usano l’imperativo, questo non è consiglio, è dovere.
DARE SÉ STESSI.
Gesù dice proprio il contrario: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Non occorre, alla lettera non è necessario. Per la compassione le necessità sono altre; allora l’imperativo cambia: «Voi stessi date loro da mangiare».
Una splendida ambiguità della frase evoca che non solo ci pensino loro, ma diano proprio sé stessi come cibo, anche se la nuova traduzione ha voluto evitare questo senso, effettivamente non immediatamente implicato. Ma tant’è: voi siete gli attori, in prima plurale, direttamente coinvolti. È un problema vostro.
E loro: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Senza lilleri non si lallera, dicono in Toscana. Ma Gesù non sente ragioni: «Portatemeli qui».
Hai poco? Non è un problema. Porta qui questo poco che hai, vedrai che ne faremo insieme. La compassione non fa i conti con piazza Affari, ma con Dio. La quantità non è il suo argomento, ma la relazione. Chi si apre alla compassione dà a Cristo quel che ha. Lui sa cosa farne.