L’umiltà, primizia del vero Amore
Quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.
Luca 14,10-11
Essere umili: cosa significa veramente? Come si vive l’umiltà autentica, additata da Gesù e dalla Scrittura come una virtù preziosa e necessaria alla salvezza? Forse pensiamo si tratti di impegnarci a dissimulare quanto riteniamo di meritare o di aver conquistato, di sacrificarci e rinunciarvi con fatica; forse viviamo l’umiltà come un fardello, un’imposizione pesante. Probabilmente non abbiamo colto il senso profondo di essa; la liturgia di oggi offre una chiave di lettura che può apparire sorprendente: l’umiltà è espressione dell’amore autentico, è via che consente di esercitare la carità, la più alta e perfetta delle virtù (cfr. 1Corinzi 13,13). Essere umili (non sforzarsi di apparire tali!) rende amabili agli occhi di Dio e degli uomini (I lettura, Siracide); permette di amare a propria volta il Signore e i fratelli con gratuità e pienezza; libera dalla superbia, il vizio antico insinuato dal nemico che, inducendo a voler essere come Dio, ha incrinato l’originaria amicizia con il Creatore (cfr. Genesi 3); restituisce la libertà dei figli «resi perfetti» in Gesù, «mediatore dell’Alleanza Nuova», «primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli» (II lettura, Ebrei), che riconoscono i doni ricevuti dal Padre e li impiegano con ricchezza e fecondità, senza sentirsene proprietari né pensare di esserne gli artefici. Solo con questo atteggiamento possiamo accogliere con verità il posto assegnatoci dallo Sposo (cfr. Vangelo), sia esso il primo o l’ultimo, e costruire come Maria, «umile e alta più che creatura» (Dante Paradiso 33), la relazione intima con Lui, che «guarda» e benedice «l’umiltà dei suoi servi», «disperde i superbi, rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (cfr. Magnificat, Luca 1,46-55). Solo praticando l’umiltà si può veramente amare, e solo nell’Amore si è veramente grandi: Gesù dà l’esempio, Lui che «è Dio» e «ha umiliato se stesso divenendo simile agli uomini e rendendosi obbediente fino alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato» (cfr. Filippesi 2,6-8). L’incarnazione del Verbo, venuto a salvare ciascuna creatura umana senza differenze di sorta, è dettata dall’Amore infinito di Dio; il Signore «prepara una casa al povero», è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Salmo 67, Responsorio); dalla nascita in una stalla, nella più totale indigenza, alla morte sulla croce, come il più reietto dei malfattori, Gesù mostra di prediligere ogni ultimo e di condividerne la condizione.
L’ULTIMO POSTO, VIA MAESTRA
Gesù ci insegna, così, ad amare il nostro ultimo posto (che sia l’incomprensione in famiglia o sul lavoro, una malattia, il fallimento di un progetto, una palese ingiustizia sofferta e offerta per Amore) e a perseverare nello stare con Lui proprio mentre siamo in quel posto, sapendo che proprio lì Egli ci ama in modo speciale. Ci insegna pure a lasciarci perfezionare da Lui sulla strada dell’umiltà, imparando a purificare le intenzioni del nostro amore: non si ama il fratello se si attende da lui una ricompensa; l’amore è vero solo se è gratuito. «Invita poveri, storpi, zoppi e ciechi, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti». È la carità autentica, cioè l’essenziale della nostra fede. Veramente agiamo così?