Vedere, ascoltare, amare come Cristo
Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
Marco 7,33-35
«Il Signore è fedele per sempre», «ama i giusti », protegge in modo speciale i poveri (Salmo 45, Responsorio): tutta la liturgia ci invita a considerare questa verità e ad agire a nostra volta come il Signore. San Giacomo, del quale stiamo leggendo, in queste domeniche di fine estate, l’unica densa lettera conservata tra i testi canonici, nella sua qualità di capo della Chiesa di Gerusalemme ammonisce «le dodici tribù che sono nella Diaspora» (Giacomo 1,1), quindi tutto il Popolo di Dio, a custodire la «fede immune da favoritismi personali»: «Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno promesso a quelli che lo amano?» (II Lettura). Il segreto della gloria, insegnato con l’esempio da Gesù ai Dodici la notte della Cena (Giovanni 13,1-20), è il servizio ai fratelli, perché in loro c’è Dio; seguire il Signore della Vita significa, nella concretezza dell’esistenza, essere capaci di inginocchiarsi davanti agli ultimi, lenire le loro sofferenze, agire con coraggio contro le strutture di male che rendono schiavi i figli del Padre. Sono queste le opere che il Maestro compie nel corso della sua vita terrena, soprattutto nel Vangelo di Marco, il più attento alle azioni di Gesù e a indicare la via della sequela; sono queste le opere che dobbiamo compiere anche noi, se siamo suoi amici e lo riconosciamo come nostro Signore: su queste opere d’amore saremo giudicati (cfr. Matteo 25,31- 46). Esse realizzano il Regno sulla terra: i tempi messianici sono segnati, già nelle profezie dell’Antico Testamento, dalla promessa della guarigione del corpo e dello spirito per «gli smarriti di cuore» e per «ciechi, sordi, zoppi, muti».
«Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa» (I Lettura, Isaia 35): Dio restituisce a tutti la Vita che ha donato con larghezza nella creazione, quella Vita che spesso il maligno, nemico invidioso, ci sottrae con le sue seduzioni. Il Vangelo (Marco 7,31-37) ci racconta il miracolo del sordomuto sanato nel territorio della Decapoli: si tratta probabilmente di un pagano, ma Gesù non lo scaccia, non se ne guarda, non teme che possa contaminarlo; chi glielo ha portato chiede «di imporgli le mani», ma Gesù fa molto di più, lo avvicina, lo «prende in disparte», cioè gli offre la sua amicizia e la sua “intimità”, lo «tocca», gli parla: Lui è Parola che dà Vita, una Parola potente che apre, libera, rende fecondi!
L’Effatà pronunciato da Gesù inaugura un’esistenza nuova, manifesta la potenza di Dio nel Figlio, ne fa celebrare la gloria a tutte le genti: Egli solo «fa bene ogni cosa»! Tutti siamo sordi e muti senza la sua Grazia, che ci risveglia dal sonno e dalla morte e ci restituisce la vista, l’udito, la “voce” per annunciare la Sua Parola: il rito dell’Effatà si rinnova in ogni Battesimo, il grande sacramento che dà la Vita in Cristo e rende figli amati nel Figlio amato, in forza del quale abbiamo in noi lo Spirito di Gesù e siamo abitati per sempre da Dio Trinità; per questo possiamo, in Cristo, «compiere le stesse opere che Lui compie, e anzi di più grandi» (Giovanni 14,12). Sappiamo noi annunciare la Verità di Cristo? Sappiamo avvicinare gli ultimi, quelli che riteniamo “lontani”, con lo stesso amore e sollecitudine del Maestro che ci vuole tutti nel suo gregge? Sappiamo, ciascuno nel suo stato e per quello che gli è possibile, liberare i nostri fratelli e restituire fiducia, fede, gioia?