I miracoli di Gesù: un atto d’amore
Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». [...] Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. Marco 10,46-52
La guarigione di Bartimeo, un cieco nato, è l’ultimo miracolo di Gesù narrato da Marco, ormai decisamente avviato verso Gerusalemme. Ancora una volta un cieco, ancora un miracolo che nasce da un incontro, da una richiesta, da un atto d’amore tangibile di Gesù nei confronti di una persona concreta che soffre. Fino all’ultimo, Marco continua a sottolineare e a ribadire la sua visione (che amo molto) dei segni di Gesù: non effetti speciali allo scopo di colpire il pubblico ma risposte d’amore a gente che sta male, che spesso diventano discepoli ed evangelizzatori.
È molto bello che Marco scelga di collocare questo evento come conclusione del viaggio di avvicinamento a Gerusalemme. Pur sapendo di essere vicino al compimento della sua vita, Gesù non smette di amare e di guarire la gente che incontra lungo il suo cammino, e ad attrarli alla sua sequela.
L’espressione che Bartimeo (cioè “figlio di Timeo”: nome greco con prefisso ebraico) usa, Figlio di Davide, crea l’ambiente messianico nel quale si svolge l’arrivo di Gesù a Gerusalemme. Ma ancora più forte è l’affermazione con cui si chiude questo episodio: è la fede che salva. Il messianismo di Gesù ha a che fare con la fede, niente più, niente meno.
Il tempo di Gesù era particolarmente popolato da varie forme di messianismo apocalittico. Quello degli esseni, quello dei farisei e quello degli zeloti, tutti influenzati dalla letteratura apocalittica che in tempo di crisi (occupazione romana) è sempre prolifica.
Gesù è dentro questo grande movimento, ma mette in guardia i suoi discepoli da cattive interpretazioni del suo essere il Figlio dell’uomo, e da erronee letture dei suoi miracoli. Ciò che lo muove nei suoi miracoli è la misericordia per la gente che incontra. Non è il ragionamento il primo movente di un tale amore, ma la pancia, le viscere, le emozioni profonde. Gesù sente il dolore della gente nella sua carne, e opera il miracolo.
SEGNO E MESSAGGIO
Il miracolo di Gesù arriva come risposta a un bisogno concreto, è un atto di agape per le persone concrete che ha di fronte. I suoi “miracoli” sono questo, e deve ripetere molte volte ai suoi discepoli di non fraintenderli, di non fermarsi al segno e dimenticare il messaggio che esso contiene. Ieri e oggi, quando in un altro tempo di crisi come il nostro la gente continua a chiedere segni e a dimenticare i messaggi.
La cecità era una malattia molto diffusa nell’antichità, spesso erano solo forme di grave miopia e di cataratta. I ciechi erano parte del paesaggio, come i mendicanti, come i lebbrosi, anche se non era considerata una forma di impurità, sebbene anche la cecità fosse letta al tempo dei Vangeli come una forma di maledizione e di punizione per i peccati commessi.
Durante le paraolimpiadi mi ha fatto una grande impressione vedere atleti ciechi gareggiare grazie all’indispensabile guida che correva accanto a loro, tenuti assieme da una cordicella sottile. Chissà se al termine della corsa ci accorgeremo di aver corso per tutta la vita con una guida accanto, e non lo sapevamo.