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Metà dei cattolici presenti in Bosnia alla vigilia della guerra nel 1991 sono emigrati all’estero: da 800 mila a 424 mila registrati nel 1996 alla fine della guerra, secondo i dati della Conferenza episcopale cattolica bosniaca. Nel 2003 ne erano rientrati 40 mila, ma l’anno scorso si è precipitati di nuovo a 420 mila. Anche i battesimi ora sono la metà dei funerali. I vescovi bosniaci hanno più volte denunciato l’impossibile architettura degli accordi di Dayton, che privilegia serbi e musulmani e punisce i croati. Da anni l’episcopato cattolico insiste sulla soluzione dei tre popoli costitutivi con eguali diritti.
Dati ufficiali sulla ripartizione delle etnie non cene sono perché i risultati de lcensimento effettuato nel 2013 si conosceranno solo nel 2016. I censimenti da queste parti, come in Medio Oriente, sono materia sensibile da trattare con i guanti di velluto. Anche la popolazione di Sarajevo è radicalmente cambiata rispetto a prima della guerra e ci sono forti tensioni pure tra i musulmani. L’islam di Sarajevo è sempre stato diverso dalla tradizione wahabita degli imam delle nuove moschee sorte dopo la guerra. La maggior parte dei bosniaci non vuole che diventi un Paese islamico.Anche i vescovi la pensano così e non perché temono l’islam, ma perché ritengono che in questo modo si finisca per costruire un ghetto in Europa dove i bosniaci rischiano di fare la fine dei palestinesi. Ecco perché hanno sempre contestato la spartizione della Bosnia su linee etniche.



