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«Una delle cause della crisi educativa attuale è la crescente mancanza di fiducia nell’educazione e nella scienza. Una sfiducia alimentata anche da social media e fake news. Per contrastarla servono alleanze strategiche per una cooperazione creativa tra istituzioni educative, associazioni, imprese e la stessa Chiesa cattolica».
È una delle urgenze individuate da Elena Beccalli (sopra con papa Leone foto Vatican Media Divisione Fotografica, ndr), Rettrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché Presidente della Federazione europea delle università cattoliche (FUCE) in occasione del Giubileo del Mondo educativo che si è svolto dal 27 ottobre al 1° novembre a Roma alla presenza di papa Leone XIV. In quest’intervista, Beccalli traccia un bilancio dell’evento e indica le priorità da affrontare.
Rettrice, quali sono le sfide che ritiene più urgenti in un ambiente educativo complesso, frammentato e digitalizzato come quello attuale?
«La prima è senza dubbio quella del digitale e dell’Intelligenza artificiale (IA). Le studentesse e gli studenti fanno un uso massiccio dell’IA, spesso con un atteggiamento fiduciario, con forme di servitù volontaria forse inconsapevole. Ciò che mi preoccupa è l’approccio adottato per lo studio, perlopiù finalizzato alla ricerca di rapide risposte. Ma così si dimentica che prima ancora di trovare la risposta giusta, è importante porsi le domande giuste. Infatti, l’IA mette in discussione le domande fondamentali di senso, dalle categorie di tempo e spazio fino alla questione di cosa è l’umano. Criticità che vanno affrontate insieme».
Il Papa ha insistito molto sul fatto che l’educazione è un’opera collettiva e sull’importanza delle costellazioni.
«Per questo ho proposto un Patto educativo per le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Del resto, la Lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza di papa Leone indica tre nuove priorità da per il Patto educativo globale. Tra queste la seconda riguarda proprio il digitale umano. Condivido appieno le parole del Pontefice quando insiste sulla necessità di “rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learning e cittadinanza responsabile; evitare ogni tecnofobia”».
E le altre sfide?
«Un’altra riguarda il ruolo che sapremo riservare alle nostre università come istituzione di pace. Tre le direttrici da seguire per fare in modo che diventino tali: in primo luogo, attraverso quello che chiamo education power, cioè con la forza dell’educazione, che passa innanzitutto da una postura educativa chiara, volta a favorire un dialogo franco e leale anche con le posizioni più lontane dalle nostre. Ancora, le università sono istituzioni di pace quando diventano spazi di dialogo interreligioso e geopolitico e avviano ricerche sui temi della pace».
Quale “debito” educativo spera che questo Giubileo possa “perdonare” o sanare, per alleggerire il cammino delle nuove generazioni?
«Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa Cattolica nel mondo 61 milioni di bambini non sono mai entrati in una classe; bambini, cioè, senza alcun accesso all’istruzione. Circa 41 milioni di questi si trovano in Africa. Ancora, oltre 160 milioni di giovani non raggiungono la fine della scuola secondaria, un numero che segnala quanto l’abbandono scolastico rappresenti ancora una piaga sociale. Numeri che diventano un forte appello a unire le forze per sanare questo debito educativo. Ispirandoci al principio di sussidiarietà, noi stesse università e scuole cattoliche siamo chiamate a immaginare insieme nuove forme di collaborazione per il raggiungimento del quarto obiettivo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: garantire un’educazione di qualità, equa e inclusiva per tutti. Un obiettivo già espresso 60 anni fa nella Gravissimum educationis e che trova nuovo vigore nella Lettera apostolica di papa Leone».
Siamo in un'epoca definita da molti esperti di crisi educativa. Dove localizza, nella sua esperienza, il cuore di questa crisi: nella fatica degli educatori, nell’individualismo sfrenato, che è la cifra della nostra società, o in un più ampio smarrimento culturale e valoriale?
«Tutte le ragioni da lei descritte sono certamente rilevanti. Ma aggiungerei la crescente mancanza di fiducia nell’educazione e nella scienza per contrastare la quale occorre lavorare insieme avendo ben presente che, secondo i dati della FIUC, le università cattoliche nel mondo contano ben 6 milioni di studenti. Un patrimonio immenso, anche per la varietà di esperienze e di presenze, per la Chiesa e per la società civile, che attendono un contributo di pensiero dalle università cattoliche per alimentare nuovi paradigmi e quindi disegnare nuove mappe di speranza come ci ha chiesto il Papa».
Nel discorso programmatico in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico lei ha detto che l’Università Cattolica del Sacro Cuore deve essere «la migliore università per il mondo, non semplicemente la migliore università del mondo». Come si declina, in concreto, questo obiettivo?
«Dare corpo all’università migliore per il mondo significa proporre adeguati modelli di pensiero orientati alla ricerca della verità. Significa offrire metodi di comprensione della realtà, scevri da pregiudizi e costantemente sottoposti a verifica, in piena sintonia con il rigore del metodo scientifico. Nel processo educativo delle nuove generazioni credo sia fondamentale adottare modelli didattici in grado di sviluppare senso critico, di insegnare a formulare domande di senso che guardino al futuro nonché di stimolare studentesse e studenti a confrontarsi con i paradigmi dominanti per proporre prospettive nuove sulla realtà. La nostra responsabilità è, cioè, formare a uno sguardo lungo e integrale, per il bene della persona ma anche per il bene comune. Da questo punto di vista, l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha molto da raccontare e il Piano Africa che ci vede impegnati in questi mesi è un’ennesima e importante dimostrazione per lavorare con i paesi africani alla ricerca del bene comune». Papa Leone nella Lettera apostolica ha scritto che «un’università e una scuola cattolica senza visione rischiano l’efficientismo senza anima, la standardizzazione del sapere, che diventa poi impoverimento spirituale».
Come si combatte il rischio di questa deriva?
«Mi piace ricordare che il Pontefice nel contesto del Giubileo del Mondo Educativo ha dichiarato San John Henry Newman co-patrono della missione educativa della Chiesa insieme a San Tommaso d’Aquino. Ora è proprio l’idea di università di Newman a darci la bussola per combattere questa deriva. Nel mio primo discorso da rettore aprendo l’anno accademico ho proprio citato la sua definizione di ateneo inteso come spazio di dialogo e confronto interdisciplinare, se non transdisciplinare. Sappiamo che nel sistema universitario convivono specializzazioni settoriali che rischiano di generare parcellizzazioni del sapere. È invece necessaria un’ottica integrale per interpretare il presente, basata proprio sul dialogo tra discipline. Ogni processo educativo e culturale è infatti il risultato di contaminazioni e ibridazioni virtuose fondamentali per una visione ampia che abbracci l’intera persona, per il bene della persona e al contempo per il bene comune».



