Selah, il titolo del racconto di Davide Brullo che Credere pubblica sul numero in edicola dal 26 agosto 2021, si presenta come un mistero. Ce la farò a strappargli una spiegazione? Abita a Riccione e lo chiamo al telefono. La sua voce è cordiale, accogliente, con una leggera inflessione romagnola. Ci sono tanti turisti oggi, mi dice, c’è l’azzurro, il mare e si sta bene. «Ho un lavoro, faccio quindi una vita da privilegiato, vivo recluso come un monaco (ride): grazie ai computer si può lavorare ovunque, tra Roma e Milano restando a Riccione. Ma ho un altro privilegio: posso andare a fare il bagno tutti i giorni. Dopo le 18 prendo la bicicletta e vado a tuffarmi: tutto il lavoro della giornata se ne va via magicamente». Lo sto chiamando da una Milano rovente di caldo e afa: guardo dalla finestra e vedo solo case. Mi immagino Davide Brullo che magari vede da una finestra il mare.
PENSATORE DISSIDENTE
A vent’anni inizia a fare il giornalista, si laurea in Storia del cristianesimo antico a Milano, scrive di cultura su Il Giornale, fonda la rivista culturale Pangea, dirige la testata on line L’intellettuale dissidente, scrive poesie e romanzi e traduce I Salmi e Il Libro della Sapienza. «Ho una famiglia e due figli, che abbiamo chiamato, rifacendoci alla Bibbia, Samuele, diciassette anni, ed Ester, dodici. Mio padre, morto in modo tragico quando ero piccolo, aveva una forte personalità religiosa, molto profonda, con tante domande e tanta ricerca. Frequentava la comunità valdese, io sono cresciuto in Piemonte, e fin da piccolo ho avuto la fortuna di leggere la Bibbia insieme all’Odissea. Divoravo le storie del re Davide come se fossero storie di avventura e mi sembravano entusiasmanti, facevo le elementari e leggevo probabilmente il testo sacro nelle versioni più facilitate per ragazzi. Mi identificavo in questo personaggio che buttava giù Golia, che ne faceva di tutti i colori, era re e poeta: insomma era un personaggio del mio immaginario di bambino insieme a Mowgli e a Peter Pan». Poi si cresce, ma quel seme portato dai testi sacri è lì e inizia a germogliare.
IL SIGNIFICATO DI SACRIFICIO
«Da adulto ho diretto per un paio d’anni una scuola legata ai Servi di Maria, quindi alla spiritualità di padre Davide Maria Turoldo e, come sempre accade nell’ambito cristiano, ho incontrato persone straordinarie. Frequentavo un padre spirituale che era la guida della scuola, un frate servita: ricordo un bellissimo giro per monasteri. È stata un’esperienza incredibile che, molto banalmente, mi ha fatto capire quanto sia fondamentale per i figli crescere con una Bibbia di fianco e con la ritualità della liturgia, di quegli appuntamenti che costellano il mese, la settimana, il giorno che ci si dedica a qualcun altro: anche se non si capisce nulla, sei giovane e non hai voglia, preferisci uscire con gli amici – tutti preferiamo altro, altrimenti non sarebbe il sacro, se non ci fosse il sacrificio – sacrifichi qualcosa e stai lì, non hai voglia di ascoltare ma stai lì. In fondo non c’è niente da capire, c’è solo da inginocchiarsi e avere il coraggio di farlo. Almeno metti un punto nella vita di un figlio che poi può anche sfociare in ribellione. Perché può accadere che un giorno ti dica: “Da oggi non voglio più andare a Messa”. Benissimo, sediamoci attorno a un tavolo insieme e parliamone».
SCRITTURA IN RICERCA
E il titolo del racconto per Credere? «Selah è una pausa, quindi è un ritmo musicale che c’è nei Salmi, nel salterio. In realtà il significato è abbastanza oscuro, noi pensiamo che sia una notazione musicale ma forse non lo è. A me piaceva che nel racconto ci fosse proprio una pausa che fosse come un silenzio scandito: la storia è quella di un vuoto, quello lasciato dal papà del protagonista e quello lasciato all’umanità da papa Benedetto XVI, ma anche il vuoto di un fratellastro e una sorellastra che si cercano e non si incontrano». Brullo nel suo racconto si immagina un io narrante che deve affrontare una morte terribile: il suicidio del padre, la sua rinuncia alla vita. Cinico e disincantato, il protagonista si ribella all’idea dei legami familiari e della paternità, ma i legami sono più forti di lui, che alla fine si costruisce una famiglia e si trova a dover accudire nonna, madre e a ricercare ossessivamente la sorella adottiva. «Cosa significa amare una persona, cosa vuol dire voler bene? I rapporti finiscono immediatamente in questa vita oppure si prolungano? Mi piaceva scavare in ciò che è la disparità, che cos’è il bene, che cos’è il male, che cosa significa essere fratelli, cosa vuol dire la paternità… raccontare tutto ciò che non collima. Io credo che il lavoro dello scrittore sia proprio quello di entrare nell’inspiegabile.
VITA DA COMPIERE

Il suicidio del padre del protagonista si rifletterà su tutta la famiglia, un peso che, per Brullo, non si può estinguere: «Quando qualcuno si dà la morte, ci deve essere chi, come il servo nel canto di Isaia, in qualche modo se ne fa carico e compie per lui quello che lui non ha compiuto, la vita che non è riuscito a vivere, e caricarsi i dolori incancellabili che ha lasciato in tutti». Che cosa consiglia Davide Brullo come lettura per questa estate? «Potrei consigliare due libri: c’è un grandissimo romanziere austriaco, Hermann Broch, di cui un piccolo editore ha pubblicato per la prima volta in Italia le poesie e sono straordinarie (La verità solo nella forma. Poesie 1913-1949, De Piante editore). Amo poi molto lo scrittore americano Cormac McCarthy, rileggo spesso Cavalli selvaggi (Einaudi), il primo libro che lo fece conoscere anche in Italia e gli diede un po’ di successo: è un libro di spazi sconfinati e di amicizie bibliche. È indimenticabile».

(Foto di Walter Capelli)