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“Oltre il mare, oltre i muri. Un orizzonte di speranza per una nuova città” è il tema del Festival della Migrazione di quest’anno in programma dal 22 al 31 ottobre (qui il programma completo).
Una kermesse “diffusa”, che annovera tra i media partner anche Famiglia Cristiana, che coinvolge diverse città dell’Emilia-Romagna e del Veneto e nata dalla collaborazione tra Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, Porta Aperta di Modena e oltre 50 enti e organizzazioni del territorio che vuole essere una voce espressa dalla società civile sui fenomeni migratori. L’idea di fondo è quella di contribuire al dibattito pubblico sul tema, in modo da non lasciare la discussione solo a forze sociali e politiche che hanno per loro natura legittimi obiettivi specifici o di parte non direttamente collegati alla realtà profonda del fenomeno.
Edoardo Patriarca, già senatore e portavoce del Forum del Terzo Settore, è il presidente del Comitato direttivo del Festival che quest’anno compie dieci anni e continua ad andare controcorrente.
Patriarca, che significato ha questo traguardo?
«Intanto è già di per sé un segno di speranza. Vuol dire che siamo stati capaci di tenere la posizione su un tema divisivo e per niente facile da affrontare. Direi che sono tre gli obiettivi che ci siamo dati in questi anni e che ribadiamo anche oggi, in questa stagione non molto felice per quanto riguarda l'immigrazione. Se devo fare un bilancio onesto, dico che in questi dieci anni, nonostante la proposta che abbiamo ripetutamente portato avanti, non abbiamo fatto molti passi in avanti. Forse ne abbiamo fatti persino all'indietro».
Quali sono dunque questi obiettivi?
«Il primo è rovesciare la narrazione che da anni incombe sul fenomeno migratorio. Parlo di tutta quella retorica legata alla paura, alla sicurezza, al controllo dei confini, al tema identitario, alla paura dell'altro e dell'incontro. È un'operazione culturale che cerca di ridare valore e senso a parole abusate, violentate nel loro significato profondo. Perché l'identità è importante, certo, ma lo è davvero solo se si incontra con le altre identità. I confini sono importanti, ma lo sono se possono essere attraversati, se ci fanno immaginare un altrove, se non diventano muri o barriere».
Anche papa Leone ha sottolineato i valori dell’accoglienza e integrazione per la società italiana nel recente incontro al Quirinale con il presidente Mattarella.
«Il Pontefice ha toccato proprio il tema dell'identità, dicendo che l'identità di un popolo si costruisce e guarda al futuro se si incontra con le altre identità. E questa è la storia dell'Italia, che purtroppo il governo attuale e l'attuale maggioranza negano. Per questo quest'anno abbiamo rafforzato ancora di più l'aspetto educativo e pedagogico. Abbiamo allargato la rete di collaborazioni con le università – da Modena a Firenze, Ferrara, Rovigo, Perugia, fino alla Sapienza – proprio perché il tema della multiculturalità ha bisogno di essere curato con attenzione. Riceviamo sempre più richieste di incontri con le scuole per riflettere su come educare all'incontro con le culture. Sono tantissimi i bambini che provengono da altri paesi e che vivranno nel nostro. È una realtà che non possiamo più ignorare».
E il secondo obiettivo?
«Dire le cose come stanno, raccontare la verità, contrastare le falsità e le bugie che ancora si propagano. Dai dati Istat e dai rapporti della Caritas, possiamo dire tranquillamente che in questo Paese non c’è nessuna invasione. Abbiamo il più basso tasso di stranieri in Europa. Non è vero che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani. Non è vero che la questione della sicurezza è legata soprattutto alle persone che provengono da altri paesi. Dobbiamo smentire questa logica, facendoci carico dei problemi reali. Attenzione: non bisogna negare il tema della sicurezza, ma affrontarlo con verità e onestà. Pensiamo alla logica del confine: se parliamo di minacce ai confini Sud del nostro Paese, ma poi guardiamo a quello che sta accadendo in Ucraina al confine est, di quali confini minacciati stiamo davvero parlando? Sono davvero i barconi che giungono dalla Tunisia il confine da presidiare?».
C'è anche una questione economica da chiarire.
«Certamente. Noi siamo in debito verso le famiglie dei migranti che sono nel nostro Paese. In termini di PIL, è più quello che producono rispetto a quello che diamo noi nel sostenerle. Siamo in debito verso di loro, non viceversa, come viene spesso raccontato. I dati dicono esattamente il contrario: stanno producendo più di tanti altri. Anche questa è una storia che va smascherata».
Qual è l’agenda politica concreta che scaturisce dal Festival?
«Con l'aiuto del comitato scientifico presieduto da Massimo Ambrosini, abbiamo riscritto un'agenda di punti concreti perché il fenomeno migratorio venga affrontato con lungimiranza e strutturalità, non come emergenza. Chiediamo che sia possibile arrivare in questo paese regolarmente, con passaporto e biglietto aereo, con la possibilità di cercare lavoro con un progetto serio. Ritrattiamo il tema della cittadinanza, considerando che quasi l'11% dei ragazzi che frequentano le nostre scuole sono di fatto senza cittadinanza. Riproponiamo il tema delle donne migranti, della tratta, della necessità di aggiustare le norme per impedire questa vergogna».
Uno dei temi di cui si parla in quest’edizione è quello della libertà religiosa.
«Sì ed è cruciale. La libertà religiosa è sempre più minacciata nel mondo. Qui a Modena la comunità islamica vuole aprire una moschea e ci sono resistenze. Noi diciamo che la libertà religiosa vale per i cristiani e vale per tutti, non perché siamo buoni o gentili, ma perché questo è un pilastro delle democrazie. Quando si minaccia la libertà religiosa, si sta sgretolando un pilastro della società democratica».
Affrontate anche il tema spinoso delle carceri.
«I recenti decreti hanno riempito le carceri di minori di origine straniera. Diciamo che, oltre a metterli in galera più o meno giustamente, bisogna pensare al dopo, a come questi ragazzi giovanissimi devono essere reinseriti. Forse conviene fare percorsi di recupero diversi, alternativi. E poi ci sono i minori non accompagnati: il governo ha tagliato i fondi ai comuni ma questi ragazzi sono praticamente abbandonati. Stiamo sperperando una risorsa: sono quasi 22mila ragazzi in un Paese che nei prossimi anni perderà popolazione, che non vede più nascere bambini. Buttare via così questi giovani con la logica del “butto via la chiave" è un segno di decadimento morale e di mancanza di visione sul futuro del Paese».
Uno dei punti di forza del Festival è la sua diffusione sul territorio.
«Sì, l'anno scorso erano quindici città tra Emilia-Romagna e Veneto, quest'anno sono ancora di più. Per la prima volta facciamo tappa a Bologna, il 30 ottobre, con un panel di discussione nel quale siamo riusciti a coinvolgere le associazioni imprenditoriali per dire loro - che si lamentano, giustamente, della mancanza di milioni di lavoratori - che devono anche farsi carico di animare e sostenere politiche di inclusione. Non si tratta solo di forza lavoro da usare in azienda – un linguaggio che non mi piace per niente – ma di persone che lavorano e che poi, quando escono, hanno bisogno di case, di ricongiungimenti familiari, di strutture che li aiutino. Anche gli imprenditori devono essere soggetti politici, partecipare a questo confronto, e soprattutto non devono considerare gli stranieri solo manodopera e basta. Le politiche abitative sono questioni che riguardano anche le organizzazioni imprenditoriali».



