I segnali che la montagna si stava muovendo erano particolarmente evidenti agli abitanti di Casso che, dall’alto del loro abitato, potevano osservare ogni minimo spostamento del terreno. Sulle pendici del Toc c’erano, poi, i loro casolari e le stalle frequentate soprattutto durante la stagione estiva. “A mezzogiorno del 9 ottobre, dal cimitero sopra il paese, avevo notato assieme ad altre persone che sulla frana, un pino che era in piedi due ore prima, ora giaceva a terra”, ricorda don Carlo. Dopo cena, chiusa la canonica, il parroco stava già in camera quando alle 22 e 39 iniziò a udire dei forti rumori intermittenti. S’affacciò alla finestra ed ebbe il tempo di veder il lampo del corto circuito dei riflettori che illuminavano la montagna.
“E poi il buio e un frastuono orribile, mai sentito prima. Subito dopo due colonne immense nere di pioggia e sassi si abbatterono sul paese, colpendo le abitazioni. Come se l’Apocalisse fosse arrivata a Casso. Quindi un silenzio irreale, innaturale; non quello familiare, che dice della laboriosità silente e della religiosità delle genti di lassù, quello che ti risana e ti ristora. Un silenzio di morte”, commenta. “Dopodiché cominciai a udire il rumore dell’acqua, e pianti e urla che provenivano dal basso, dove s’era abbattuta la terribile onda. A mezzanotte un uomo giunto dal vicino paese di Erto ci portò la notizia che la frazione di Le Spesse non esisteva più. E si cominciò a fare la conta dei morti”.
Alle cinque del mattino, ancora avvolti dalle tenebre, il prete celebrò una messa tra la melma e i singhiozzi dei paesani. “Non cera voglia di parlare. Bastava guardarsi negli occhi. Qualcuno imprecava Dio, ma furono le uniche bestemmie che non mi fecero male. Poi, verso le dieci del mattino arrivò l’ordine di sgombero del paese: dovetti girare per le stalle per convincere i miei parrocchiani a lasciare le bestie e ad andar via. Firmai anche il permesso perché 27 residenti potessero rimanere lì”. Il 12 ottobre Don Onorini, zaino in spalla, fu l’ultimo a sfollare da Casso assieme a due carabinieri. “A Longarone”, osserva malinconicamente, “C’era il problema dei morti. A Casso avevamo il problema dei vivi”.


