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Sacra Famiglia con Santa Maddalena, 1508, Museo diocesano di Cremona
Non sappiamo chi sia la giovane ragazza dal turbante azzurro, passata alla storia come La zingarella, protagonista della piccola quanto dettagliata tavola degli Uffizi. Come tante donne dell’arte ammantate di mistero, dalla Gioconda alla Ragazza con l’orecchino di perla, ci cattura nel suo incantamento: il suo sguardo limpido, perso come la maggior parte delle figure di Boccaccio Boccaccino, che non seguono con lo sguardo lo spettatore, ma fissano oltre, portate via da un pensiero che non si lascia indagare, è il cuore della monografica allestita a Cremona, a un passo dal Duomo in cui trova completamento, nel giovane Museo Diocesano, dedicata all’artista, nato probabilmente a Ferrara ma che si firma “cremonensis”.


Nel cinquecentenario della morte dell’artista, è la prima mostra a raccoglierne quasi l’intero corpus: 17 opere per la gran parte sacre, a dispetto di una vita maledetta in confidenza con la cronaca nera, che consentono di accostarsi a un pittore quotatissimo tra i contemporanei Giorgio Vasari lo definisce nelle Vite «raro ed eccellente maestro», ma arrivato poco noto a noi, ancorché autore degli affreschi del Cristo pantocratore e dell’Annunciazione (1506-13) nell’abside del Duomo cittadino e di un prezioso ciclo di affreschi sulle storie della Vergine e di Cristo, sulla parete di sinistra della navata centrale (1513-19), dirimpetto al Pordenone.


Figlio dell’acupintore, ossia del ricamatore di Corte degli Estensi, alla lettera di uno che dipingeva con l’ago, (e tanto Boiardo quanto Ariosto hanno tramandato nella descrizione dell’equipaggiamento dei cavalieri nei loro poemi quanto la Corte avesse il gusto per la magnificenza di tessuti e armamenti da parata). Boccacino ha ribaltato quell’arte, con cui deve aver avuto confidenza domestica, dipingendo con i pennelli stoffe preziosissime di stupefacente realismo tanto da far ritenere ai curatori della mostra, Francesco Ceretti e Filippo Piazza, che potesse avere conservato come modelli scampoli di quei tessuti: ne vediamo i due saggi più raffinati in San Giovanni Evangelista e in San Matteo, nonché nella raffinatissima annunciazione e nello sposalizio mistico di Santa Carina d’Alessandria, delle Gallerie dell’Accademia.


Boccaccio Boccaccino, Adorazione dei pastori, Museo di Capodimonte, Napoli, 1499-1500, particolare
Cremona, Milano, Ferrara, Venezia sono i luoghi in cui opera, costretto più volte alla fuga, per sottrarsi a condanne, e «come una spugna», per dirla con Francesco Ceretti, assorbe tutte le novità del suo tempo: a Milano imparentata con la Corte estense per il matrimonio tra Beatrice d’Este e Lodovico il Moro, subisce l’influenza di Leonardo, di cui si riconosce qualche ascendenza nell’angelo dell’Adorazione dei pastori di Capodimonte che apre la mostra cremonese, a Venezia impara la composizione della sacra rappresentazione a mezze figure, per contaminarla presto soprattutto nella tenerissima Madonna con Bambino del museo Correr di Venezia, di atmosfere giorgionesche. La sua fama è tale che a Milano a dispetto della vita turbolenta, arrestato per aver ferito un miniaturista, trova la lusinghiera raccomandazione del corrispondente di Ercole I d’Este alla corte del Moro che nel 1497 -documento esposto in mostra – scrive al suo signore per annunciargli di essere finalmente riuscito a far scarcerare «Bochaccino depintore», finito in gattabuia per una rissa finita al coltello nell’ambiente della miniatura, e di essere pronto a mandarlo nel giro di una decina di giorni a Ferrara, dove la corte era rimasta orfana del suo pittore Ercole de Roberti morto l’anno precedente, «Perché qui lo è reputato deli primi» maestri «de l’arte sua che sijno in Italia». Oggi questa mostra cremonese, aperta fino all’11 gennaio, nata dalla sinergia tra la soprintendenza Abap, per le province di Cremona, Mantova e Lodi e della Diocesi di Cremona, innescata dall’opportunità di esporre in pubblico, dopo il recente restauro di quel che resta della pala Fodri in origine in San Pietro al Po e per la gran parte distrutta da un incendio, ha il merito ora di restituirci cinquecento anni dopo un pezzo non secondario del Rinascimento rimasto defilato, che ha il sapore gradevole di una scoperta. Una ragione in più per visitare tra Natale e l'Epifania la città che con torrone e mostarda addobba le tavole delle Feste di tutta Italia.




