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Nella carriera di Giancarlo Giannini c’è di tutto. Il cinema d’autore e quello di genere, la fama in Italia e all’estero, la recitazione, il doppiaggio, l’insegnamento. Sei David di Donatello, Cinque Golden Globe. Una candidatura all’Oscar nel 1977 per Pasqualino Settebellezze. La stella sulla Walk of fame di Hollywood (nella foto in alto, la cerimonia del 6 marzo, ndr). Recentemente, ha vestito i panni di Dino De Gregorio, un procuratore di calcio ricco e senza scrupoli in spietata concorrenza con Corso Manni, interpretato da Francesco Montanari, nella serie Sky Il Grande Gioco diretta da Fabio Resinaro e Nico Marzano.
Cosa c’entra lei con i procuratori del pallone?
«Li ho conosciuti quando andavo a mangiare al ristorante Da Giannino a Milano. Mi sono avvicinato a uno e gli ho detto: “Guarda che sto interpretando uno come te anche se non ci ho capito molto di quello che fate”. Risate. Sono ricchissimi, potenti, riveriti».
Si è divertito?
«Sì, ci ho messo molta fantasia».
Ma lei è tifoso?
«No. Non seguo il calcio, m’interessano solo le grandi partite tipo Italia – Brasile ai Mondiali. In quel caso divento un tifoso accanito».
Ad agosto ha compiuto 80 anni. Non si è stancato di recitare?
«No. Sono stato fortunato, ho lavorato con i più grandi: Lina Wertmuller, Vittorio Gassman, Mariangela Melato, Federico Fellini, Marcello Mastroianni. Quando mi volto e vedo che non ci sono più mi viene il magone».
L’Oscar l’ha solo sfiorato però nella celeberrima Walk of fame di Hollywood brilla anche la sua stella.
«Sono il secondo attore italiano uomo ad averla ottenuta. Nel 1960 ne fu assegnata una postuma a Rodolfo Valentino».
Avrebbe preferito l’Oscar?
«La stella la prendi perché sei una star per sempre, l’Oscar solo per un film. In Italia mi hanno dato tanti premi, solo a Venezia non ho mai beccato nulla, neanche un gatto nero (ride, ndr)».
Le piace il cinema di oggi?
«L’altro giorno sono rimasto sveglio tutta la notte per vedere La caduta degli dei di Luchino Visconti: che attori, che scenografia. Poi ne ho scoperto un altro che non conoscevo, I mongoli, del 1961, con Jack Palance e Anita Ekberg. Quanto erano belli i film del passato».
Non mi ha risposto.
«Il cinema di oggi mi piace un po’ meno. Abbiamo ottimi registi, da Sorrentino a Tornatore, anche bravissimi attori. Però l’epopea che ho vissuto io…».
Racconti.
«Fellini mi chiamava il pipistrello. Nel 1983 stava girando il film E la nave va e io andavo a trovarlo sul set di notte. Ero l’unico che poteva scattare fotografie. Mi diceva: “Giancarlino, il cinema è morto. Andremo al cinema come a un museo, a malapena vedremo quel raggio di fumo che attraversa quel raggio di luce”. Aveva ragione. Il linguaggio sta cambiando. Una volta mi chiamò alle quattro del mattino: “Giancarlino, mi è arrivato il Parmigiano Reggiano. Stasera ci facciamo le tagliatelle al ragù”. Quando Pasolini voleva fare un film sulla Resistenza andammo a cena a Salò. Ma lui quando eravamo a tavola mica parlava del film ma dei gerani sui terrazzi. Adesso incontri un regista e ti dice: “Facciamo questo film, poi andiamo a Cannes, poi a Venezia”. Ma divertiti a farlo e poi si vedrà».
E gli attori?
«L’Italia è una fucina di talenti. Leonardo Di Caprio, Robert De Niro, Frank Sinatra hanno tutti sangue italiano. Eduardo De Filippo è il più grande commediografo del mondo dopo Shakespeare. Per non parlare di Dante. Abbiamo inventato quasi tutto: il melodramma, la commedia dell’arte, il cabaret. E lo abbiamo regalato al mondo».
Con Vittorio Gassman eravate amici.
«Avevamo un rapporto bellissimo. Quando è morto, ho pianto tanto. Era intelligentissimo e molto colto. Nel 1987 eravamo in Spagna a girare I Picari di Monicelli, il nostro primo film insieme, e lui mi aspettava fuori dall’albergo per raccontarmi storielle su Charlie Chaplin. L’ho conosciuto che aveva una forte depressione e per combatterla il medico gli aveva consigliato di mangiare la cioccolata. Sul set del film Lo zio indegno mangiavo anch’io un po’ della sua. Mi ha insegnato tante cose, a cominciare da come recitare i monologhi di Shakespeare. E poi con lui c’era una diatriba anche divertente».
Su cosa?
«La fede in Dio. Mi diceva sempre: “Come fai tu ad averla? Che invidia”. Io gli rispondevo che quando arriva è come un piedistallo che ti fa stare in piedi. E lui: “Non potrei averne uno piccolo anch’io per tenermi su?”. Mi raccontò della sua depressione: “È come una malattia Giancarlo, un giorno mi sono alzato, sono andato ad aprire la porta della camera e l’ho subito richiusa. Non volevo vedere nessuno. Mi lasciavano il cibo sulla porta”».
Lei come ha iniziato a credere?
«All’improvviso. Mi ero appena separato da Livia (la prima moglie da cui ha avuto due figli, Lorenzo, morto a 20 anni nel 1987, e Adriano, ndr). Stavo cenando davanti alla Tv che dava scene di guerra con uno che ammazzava una persona con una pistolettata. Mi fece venire una grande paura delle cose del mondo, della violenza, dell’odio. Mi dissi: “Non devo avere paura”. E ho iniziato a credere in Dio».
Lina Wertmuller.
«Mi ha insegnato tutto. Abbiamo fatto dei film bellissimi sempre divertendoci. Allora non c’erano l’ansia e la fretta di oggi. Pasqualino Settebellezze non lo voleva fare nessuno perché è una storia vera in un campo di concentramento. Lina si convinse e arrivarono quattro candidature all’Oscar. Oggi prendiamo tutto troppo seriamente, mancano l’ironia e l’autoironia. Noi attori raccontiamo favole, dobbiamo far divertire la gente, non prenderci sul serio».
Lei insegna anche al Centro Sperimentale di cinematografia di Roma.
«Ai ragazzi che arrivano gli dico che noi attori siamo pagliacci, che recitare non è saper fare bene una battuta o leggere i copioni ma continuare il gioco di quando si è bambini: dare spazio alla fantasia, divertirsi, creare mondi paralleli. E se te la fai sotto, non devi mai farlo vedere».
Studiare i copioni non serve?
«Una volta Mastroianni venne sul set del film Fatti di gente perbene ispirato al delitto Murri per trovare Catherine Deneuve. Io gli chiesi: “Marcello, ma tu li leggi i copioni?”. E lui: “Li porto a letto, leggo le prime tre pagine e poi mi addormento. Sono un sonnifero formidabile”».



