Sempre meno social network, relazioni sociali, e sempre più social media, strumenti per postare contenuti di se stessi e di quello che facciamo. Questa, secondo gli esperti, è l’evoluzione dei social che da strumento per tenere (e allargare) i contatti si stanno trasformando in mezzi per produrre contenuti seri, privati, d’opinione, goliardici come dimostra TikTok. Come orientarsi? E soprattutto come resistere senza farsi travolgere? Agostino Picicco prova a rispondere a queste domande nel suo ultimo libro Il narcisismo digitale. La sfida di non perdere le relazioni (SECOP Edizioni, pp 114, euro 12). L’autore, giornalista e scrittore, che lavora nella Direzione Comunicazione ed eventi istituzionali dell’Università Cattolica di Milano e coordina le attività culturali dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, ha già dedicato a questi temi due libri: Vita da Social (2015) e Comunicare è condividere (2019.)

In che consiste il narcisismo digitale?

«È il virus del nostro tempo per il quale non ci si riesce a sottrarre alla smania di approfittare delle potenzialità di una comunicazione immediata e globale, che si realizza a colpi di selfie e post sui social, segno di vanità e di vacuità di contenuti, tanto che è fondato il sospetto che vi sia chi vada in vacanza, al ristorante, si fidanzi al solo scopo di poter postare le foto sui social, senza neppure il desiderio di avere i like, ma solo per il piacere di “fare vedere”. Si tratta di un nuovo piacere che rappresenta un modo di essere nell’ambito di una civiltà dell’immagine senza precedenti nella storia dell’umanità, per la quale non si riesce a “staccare la spina” senza fare differenza tra giorno e notte, tra giorni feriali e festivi, tra casa e ufficio in una massiccia dipendenza da connessione».

Ne siamo affetti tutti?

«Si, ormai fa parte del nostro modo di essere. Occorre dire, però, che – utilizzati in un certo modo – i social non hanno necessariamente connotazione negativa. Nel momento in cui comunichiamo contenuti utili a tutti e messaggi positivi, i social avranno avuto il merito di aver fatto da cassa di risonanza e magari di essere stati strumento di edificazione. Il rischio è che l’ossessione comunicativa e narcisistica di fotografare ogni momento della propria vita per condividerlo, faccia perdere quello che è stato il fine primo delle foto, legato ad una esigenza umana importante: la necessità di ricordare, di perpetuare il ricordo, di conservare tangibilmente qualcosa di bello».


Quali sono i segnali per riconoscere un narcisista digitale?

«L’apparenza ad ogni costo senza nessun altro scopo che “mostrare”, l’autoreferenzialità dei contenuti postati, la non rilevanza degli stessi, le affermazioni divisive e lesive degli altri, da parte di coloro che vigliaccamente sui social si esprimono in modo aggressivo e violento, con offese, commenti sgradevoli e malevoli, magari approfittando dell'anonimato di un falso profilo».

La sfida, come recita il sottotitolo del libro, è non perdere le relazioni in un contesto dove le opportunità di comunicare sono pervasive e dilaganti. Come si può fare?

«Oggi le relazioni sono basate sull’io e sono gestite virtualmente da un click che sancisce la rinuncia alla responsabilità di mantenere un legame e le sue potenzialità generative. Siamo di fronte all’uomo senza legami caratterizzato dalla debolezza di legami affettivi, concentrato sul presente e sui bisogni personali. La soluzione, secondo me, è di non “vivere sui social”, ma ”comunicare tramite i social”, maturare più solide relazioni umane che si nutrano di rapporti e socialità “in presenza”. Questo contribuirà a promuovere un umanesimo digitale che renda consapevoli che non si può vivere di sola connessione. L’attenzione e il rispetto per l’altro restano l’orizzonte di speranza per l’uomo del terzo millennio».

Se dovesse tracciare un galateo del perfetto comunicatore quali punti metterebbe?

«È colui che nei suoi post non cerca i like a tutti i costi ma la crescita positiva della comunità digitale. In quest’ottica non considera gli altri avversari ma ne commenta sobriamente i post e li condivide sulla sua bacheca se li ritiene di valore. Insomma è persona positiva che non semina fake, non è odiatore seriale, non fa il “leone da tastiera” ma si attiva per il bene comune anche attraverso i social che ottimamente si prestano a quest’opera meritoria. Non dimentichiamo che esiste una timidezza dello scrivere e un pudore nel dare visibilità a eventi personali di un certo rilievo. Proprio costoro meritano più attenzione perché hanno maggiori contenuti da comunicare e dimostrano di avere uno stile di delicatezza, oggi sempre più raro. Occorre coltivare quel desiderio di autenticità per non “virtualizzare la vita relegandola sui social”, come ha affermato di recente papa Francesco. Mi piace qui ricordare un invito che prendo dalle parole di un autore contemporaneo e che ben si adatta alle modalità di gestione della comunicazione interpersonale: “Siate accoglienti con tutti, arroganti con nessuno. Non giudicate, amate il mondo. Eccedete in tenerezza” (don Tonino Bello). Eccedere in tenerezza nelle relazioni, anche virtuali, migliorerà la vita dell’intera società».