Cara prof, mi chiedo come sia possibile che nelle nostre classi ci siano tanti bambini con certificazioni, con la conseguenza che gli insegnanti devono fare una quantità di piani didattici personalizzati, dovendo spendere più tempo in adempimenti burocratici piuttosto che dedicarsi ad una vera didattica personalizzata.

ORNELLA


Carissima Ornella, le tue parole toccano un nodo cruciale che, come insegnanti, viviamo ogni giorno: il peso crescente delle certificazioni e l’impatto che hanno sul nostro lavoro in classe. Quello che dovrebbe essere uno strumento per garantire l’inclusione e il successo formativo degli studenti si sta trasformando, troppo spesso, in un esercizio burocratico che rischia di distogliere l’attenzione dalla didattica vera e propria.

Molte scuole, infatti, per eccesso di zelo o paura di ricorsi, interpretano la normativa come un elenco rigido di adempimenti anziché un’opportunità per personalizzare davvero l’apprendimento. Perché il vero nodo è questo: la personalizzazione della didattica, una pratica che in un sistema realmente inclusivo dovrebbe coinvolgere tutti gli studenti, senza la necessità di moltiplicare in modo incontrollato i piani personalizzati.

Un sondaggio svolto dal Centro studi Erikson rivela un dato interessante: oltre il 70% degli insegnanti continua a utilizzare la lezione frontale nella maggior parte delle ore di insegnamento. La didattica aperta, che punta alla personalizzazione dell’apprendimento valorizzando le differenze, è poco diffusa: solo il 13% del campione la utilizza quotidianamente, mentre il 21% dichiara di non conoscerla. L’amara riflessione è che forse, se la vecchia e cara lezione frontale va ancora per la maggiore, da docenti ci meritiamo come pena del contrappasso di dover compilare tanta carta.