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Ho letto sui social: “I docenti interrogano nel 2025 come nel 1890. Così sono inefficaci e generano ansia”. Ho pensato alla mia esperienza e a quella dei miei figli e devo dire, con una certa amarezza, poco è cambiato.
LARA
Cara Lara, la tua esperienza scolastica è molto più recente del 1890. La tua scuola, quella dei tuoi figli e la mia, sono diverse da quel che è stata la scuola fino agli anni ’60.
In ogni caso il commento che hai letto, seppur esagerato, mette in luce aspetti che legano ancora la scuola a vecchi modelli educativi e pedagogici. Modelli imparati da studenti sui banchi di scuola e che sono diventati una guida per chi ha deciso di fare l’insegnante.
Purtroppo, ancora non esiste una formazione adeguata per diventare docenti, soprattutto nella scuola media e superiore. Molti arrivano in classe con una solida formazione accademica, ma poca esperienza su come valutare davvero i modi per far crescere.
E anche giovani colleghi che stanno frequentando i corsi abilitanti per l’insegnamento mi riportano un’esperienza che fa riferimento ai contenuti da insegnare, ma molto meno su come insegnarli e su come verificare le modalità di apprendimento.
È allora facile ricadere nel “si è sempre fatto così”: interrogazione frontale, compito, voto. Senza soffermarsi a riflettere che la valutazione dovrebbe essere tutt’altro, un percorso, un dialogo. Dovrebbe aiutare lo studente a capire dove si trova e come migliorare.
Il post ci invita a cambiare rotta con griglie chiare di valutazione, compiti autentici, autovalutazione. Strumenti che non tolgono rigore ma danno senso.
Per una scuola meno ansiogena e più formativa bisogna iniziare da qui: da come guardiamo e accompagniamo la crescita di chi abbiamo davanti.



